Passeggiando nella cittadina di

Silmaril
I Racconti

Pherelen

di
Araglar e Keyla


Molte storie sono state narrate, molte vite immortalate in candide pergamene, assieme a vivide immagini di dolori e rancori, ma anche di gioie. Molti personaggi, giunti da mondi diversi eppure simili portandosi in spalla tristi ricordi, ora viaggiano per Silmaril, facendolo quasi sembrare un pozzo di tristezza. La storia delle loro vite, della quale solo gli dei sono silenziosi testimoni, si mescola alla leggenda ed al mito, ma non viene dimenticata, casomai soltanto riposta in angoli lontani della mente, per cercare di allontanarla e per iniziare una nuova esistenza, per rincominciare daccapo. Per molti mettere da parte il proprio passato è impossibile, talmente forte è il marchio da esso lasciato nelle loro coscienze, per altri è più facile, spinti dal desiderio di nuove possibilità. Il mio passato resterà per sempre in me, chiaramente stampato come le lettere del mio tatuaggio: Pherelen. E' giunto ormai il tempo di raccontare questa mia triste vita, che sembra essere stata guidata da un ente superiore, che si è divertito a giocare con essa come con una marionetta.
Quasi nessuno sa che io non sono esattamente mezz'elfa, come tuttavia mi piace credere di essere, bensì mezza drow: questa è, e sempre fu la causa delle mie disgrazie, e forse un giorno lo sarà ancora. In un villaggio tra i sanguinari drow viveva mia madre, che era una di loro a tutti gli effetti; lei si innamorò di un giovane prigioniero umano, e progettò con lui la fuga. Tuttavia vennero scoperti dopo poco tempo, e la punizione fu tremenda. Mio padre fu impalato davanti alla casa di mia madre, affinchè lei non dimenticasse mai ciò che voleva dire tradire la patria: infatti, non lo dimenticò mai, il doloroso ed atroce ricordo del giovane umano la perseguitò fino alla sua fine, che fu per lei quasi un sollievo, la cessazione di tutto ciò per cui era dovuta vivere, ma per cui non avrebbe voluto vivere. Nella comunità drow mia madre venne emarginata, usata, e fu per questo che riuscì a nascondere la gravidanza dopo la quale nacqui io. Se solo i drow avessero scoperto che ero nata, la mia vita sarebbe finita subito, prima che potessi accorgermene; mia madre avrebbe subito una qualche punizione di indescrivibile orrore, e mi avrebbe raggiunto nelle aule dell'aldilà, dove avremmo forse goduto di un'eternità più serena, ma destino così non volle. Ormai la situazione era tragica, le nostre esistenze chiaramente a rischio, per questo mia madre, per la seconda volta, tentò la fuga. Prima di partire mia madre mi tatuò una scritta sul collo: Pherelen, che sarebbe servita per riconoscermi in caso di divisione. Inoltre Pherelen voleva dire Mezza Stella, in elfico, nella lingua della luce, come le aveva insegnato il suo amato giovane umano. Lui l'aveva chiamata così, perché aveva portato luce nella sua prigionia, lei mi chiamò così per lo stesso motivo, avevo portato luce nella sua ormai triste ed amara vita. Mise magie di protezione nella scritta, ed esse sono ancora con me, e forse mi hanno salvato più di una volta. Fuggì una mattina, mentre la nebbia copriva gli oscuri territori abitati dai drow, facendoli sembrare luoghi di spettri e morte, orrore e tenebra. I drow se ne accorsero quasi subito, forse avvertiti dalla potentissima magia dei loro maghi, che avevano circondato la città con ragnatele di magia, atte a rivelare entrate ed uscite di qualsiasi essere animato. Videro mia madre, e videro me, e da allora non smisero mai di cercarmi, orgogliosi e testardi drow. Mia madre, scorgendo l'orizzonte della sua corta vita avvicinarsi velocemente, vedendo le ombre della morte scendere sempre più pesanti su di lei, comprese l'unico modo per salvare la mia vita, mi lasciò infatti vicino ad un villaggio di elfi. La sua preveggenza, ed uno strano sesto senso donatole dalla necessità estrema le assicurarono che entro brevissimo tempo sarei stata trovata, e che per me tutto si sarebbe potuto risolvere. Lei non poteva nemmeno sperare di entrare viva in un villaggio elfo, marchiata com'era dalla sua identità di drow, per questo continuò invano la sua fuga verso regioni ignote, dove venne con facilità ritrovata ed imprigionata dai cacciatori drow. Venne riportata nella sua città, dove sarebbe stata giustiziata secondo il più antico rituale drow, riservato ai più acerrimi nemici, ed ai traditori. Questo triste e orribile rituale consisteva nel far espiare le colpe al condannato mentre era ancora in vita, affinchè potesse giungere puro agli dei, agli dei neri venerati dai drow. Il rituale era diviso in più parti, all'inizio il prigioniero veniva fatto passare nudo lungo una strada delimitata da magia, all'esterno ed all'interno della quale erano i concittadini drow, armati di spade, pietre e forche. Il prigioniero doveva passare lungo questa strada, mantenendo la direzione dritta; se toccava il confine magico, la magia poteva ustionargli la pelle e ricondurlo sulla giusta strada. I concittadini dovevano massacrare il condannato come volevano, con una sola restrizione, non doveva morire. Chi per errore lo avesse ucciso avrebbe subito egli stesso la punizione suprema. Chi partecipava doveva insultarlo anche verbalmente, disprezzarlo, farlo vergognare per la sua esistenza. Solitamente, quando il condannato era una donna, molti drow tra i più nobili abusavano di lei riuscendo così a toglierle le ultime briciole di dignità che possedeva. Il prigioniero arrivava alla fine del percorso magico stremato, grondante sangue da tutto il corpo, con ferite profonde e lacerazioni orrende, ustionato e spesso accecato e zittito da magie praticategli dai concittadini. Una volta uscito al prigioniero era tolta così la consolazione del poter gridare la propria sofferenza, del poter invocare gli dei o la pietà. Chi osservava vedeva una rossa figura avanzare a gattoni con lacrime di sangue uscenti da occhi con orbite bianche, con convulsioni per il dolore atroce e la disperazione. Il prigioniero era tuttavia accuratamente sostenuto in vita dalle magie dei maghi drow, che si assicuravano che arrivasse alla punizione finale abbastanza cosciente per soffrire. Questa prima punizione era chiamata dell'orgoglio. La seconda prova consisteva nella prova della superiorità della patria drow, lezione che ai traditori non era stata chiara. In questa seconda prova ufficiali superiori tra i drow dovevano spezzare il prigioniero, come schiacciato dalla superiorità delle autorità che non aveva voluto riconoscere. Prima al prigioniero venivano ridate vista e verbo, in modo che potesse urlare, poi gli ufficiali gli spezzavano le ossa principali del corpo rendendolo massa inerte ma cosciente. Urla di odio e dolore riempivano la piazza dove tutto ciò si svolgeva, tuttavia per vecchi e giovani drow, questo era uno spettacolo stupendo, migliore persino dell'impalare i figli degli elfi di fronte ai loro genitori. L'ultima prova era praticata direttamente dal capo della tribù, che tagliava lentamente la pelle dal corpo del drow, lanciandola poi in pasto ad animali che aspettavano impazienti tra la folla acclamante. Quest'ultima prova serviva a staccare il prigioniero dal mondo terreno. Durante quest'ultimo lento e ripugnante rito il prigioniero moriva, tuttavia la scuoiatura veniva completata ugualmente, il capo tagliato e inserito in una lunga fila di teschi per adornare la sala del capotribù.
Tutto questo vidi fare a mia madre quando divenni più grande nelle immagini della mia mente, che tuttavia sapevo essere reali.
Mi trovò un'elfa un po' cieca, saggia e gentile, che non riuscì a notare lo strano colorito più scuro della mia pelle, ed i lineamenti misti di drow e umana. Tuttavia il resto della comunità capì ed io venni emarginata e tenuta in disparte; crebbi sana e giusta, tuttavia nessuno si fidò mai di me, nessuno osò mai essermi amico. Venne un giorno in cui il nostro villaggio venne assediato da drow, e fu in quel giorno che io scelsi il mio destino, e provai a guadagnarmi la fiducia degli elfi, ottenendo una missione che nessun'altro voleva fare. Dovevo portare un messaggio agli elfi al di là di un fiume, passando quindi attraverso le linee nemiche.
Prima che partissi l'elfa che ormai era come una madre praticò su di me una magia affinchè io ricordassi per sempre il mio passato, sperava che così io sarei potuta ritornare lì, che avrei sempre avuto lei e gli elfi nel mio cuore. Li avrei avuti lo stesso. Forse nella preveggenza della sua etè e nella sua saggezza, aveva capito che dovevo ritrovare me stessa, e sperava che questo mi avrebbe aiutato. La magia ebbe un effetto strano, insolito, infatti ricordai tutto, da quando ero nata fino ad allora, rividi persino il villaggio dei drow, e potei vedere mia madre, alla quale non avevo mai pensato. Mi accorsi persino di poter sentire i suoi pensieri, e li sentii fino al suo ultimo respiro, vidi e seppi tutto ciò che le era stato fatto, e piansi.
Partii subito, sperando di riuscire nella mia impresa, ma sapevo già in partenza che non ce l'avrei mai fatta. Venni vista mentre sgattaiolavo fuori dal campo e venni inseguita per lunghissime miglia, ma alla fine venni catturata. Mi portarono al villaggio di mia madre, ed io, disgustata, aspettai la morte con attesa quasi frenetica. Essa non venne. Un giorno la mia cella si aprì ed apparve una drow anziana e selvaggia, si sedette di fronte a me, e mi spiegò. Era mia nonna, la capotribù; mia madre era stata giustiziata da lei stessa, l'altro suo figlio era morto pochi mesi prima, ora io ero la sua unica discendente. Mi spiegò che mi avevano riconosciuto i maghi, che avevano individuato in me vita umana e drow, nonché magia nobile drow. Con tono distaccato e freddo mi chiamò principessa guerriera dei drow e poi se ne andò, non senza lanciare su di me una magia inebriante e allucinogena, che mi oscurò i sensi per qualche giorno. Fu una mossa geniale, quella di mia nonna, la sua magia, ebbe infatti l'effetto sperato. Venni portata in guerra in preda all'esaltazione delle droghe datemi e mi ritrovai ad uccidere elfi innocenti senza la minima pietà, fu in quel giorno che il mio animo morì, per rivivere soltanto molto tempo dopo, nella disperazione. L'esaltazione, la gloria, la furia della battaglia furono come una scossa per la mia parte drow, che prese il sopravvento dopo tanto tempo di celata pazienza. Come principessa dei drow divenni una spietata guerriera, pienamente consapevole di quello che faceva, ma inebriata dall'esaltante fascino del potere e dell'oscurità. Venni bene accettata dai drow dopo queste mie prove di coraggio e forza, ma soprattutto di sangue. La parte buona di me era ormai sempre più schiacciata e soffocata sotto il peso della collera, e rischiava di sparire per sempre, se un giorno non avessi ritrovato la luce per mezzo dell'ombra. Mi ritrovai ritta in piedi, la spada in mano, pronta al colpo mortale, con un bambino biondo di fronte, gli occhi spalancati ed increduli, il corpicino immobilizzato dal terrore. Tesi il braccio per colpire, ancora convinta delle mie azioni, ma il braccio non rispose, ed ebbi tempo per guardare il piccolo elfo, per leggere i suoi occhi, per vedere come apparivo. Forse la sensazione di potere e forza può essere inebriante, ma confrontata alla gioia dell'amore e della pace è veramente piccola cosa. Mi vidi forte e potente, ma piccola ed odiosa, e capii. Rividi le ingiustizie da me commesse, le persone uccise, rividi gli occhi del bambino, e quelle immagini restarono e resteranno per sempre con me. Poi dissi basta, lasciai cadere la spada, scorsi la luce rifarsi strada tra le tenebre del mio cuore, lacerandole e provocandomi un dolore insopportabile; portai in salvo il piccolo elfo, ora sorridente e grato, lo lasciai al sicuro, e mi diressi sola verso il nulla. Saltai nel buio, senza sapere dove mi avrebbe portato, sperando che ponesse fine alla mia travagliata esistenza, al dolore che ora avrei dovuto affrontare per sopportare il rimorso per tutte le mie azioni. Riaprii gli occhi in un altro mondo, portando la mia storia con me, con la luce che ancora si apriva il varco della saggezza nel buio dell'odio del mio cuore. Portai la mia storia in questo mio nuovo mondo, aggiungendo un altro capitolo all'enorme libro di tristi e dolorose storie già scritte. Portai la mia storia per cercare di ricordarla senza provare dolore, per trovare la gioia e l'amore che mai avevo provato, per trovare tutto ciò che mai avevo trovato nel paese degli elfi sfiduciosi e nella terra d'odio dei drow. Giunsi in un mondo dove anche per me arrivò la salvezza, dove fortunatamente ritrovai la luce e dove finalmente tuttora vivo un'esistenza come mai avrei sperato, convivendo con ciò che ho fatto, sapendo che è soltanto passato e che la causa di esso fu il fatalismo di una vita già decisa dal tragico inizio.








[ Entrata ]   [ Gioca ]   [ Mappa ]