alle testimonianze dirette e dai canti
che ne parlano, è stato possibile ricostruire la seguente.
Questa è la storia della Nera Fiamma, l'elfo più infelice che mai ci fu o ci sarà.
Alto di statura, neri i capelli, occhi scuri, fiero ed orgoglioso, come gli elfi di un tempo.
Egli è un mago, ma combatte sempre in prima linea, anzichè celarsi nelle retrovie.
Giovanissimo e ancora acerbo, in età di 17 anni, giunse a Silmaril, senza gloria e senza onore,
ché punto o poco ricordava del suo passato.
Era forte e rapido ad apprendere. La sua magia si basava su due elementi: vento e fuoco. Il vento,
il suo preferito, lo usava per lavare il suo cuore dalle impurità, così amava e
ricercava la bellezza e la purezza sopra ogni altra cosa. Il fuoco e le sue conseguenze invero lo
spaventavano, poiché malamente riusciva a controllarlo, così lo usava solo in caso
di estrema necessità.
Giunto a Midgaard, la prima creatura parlante che incontrò fu un'umana e se ne innamorò
perdutamente. Mera infatuazione pensarono taluni, ma superficiali erano solo i loro sciocchi giudizi.
Solo il suono del suo nome lo inebriava, Aglaia, che a pronunciarlo un brivido corre lungo la schiena,
pacate e dolci le parole che gli rivolse ed ella era certamente la più bella dei figli di Eru.
Il loro incontro fu casuale, breve ma soprattutto fatale.
Egli non ebbe il tempo di dichiararsi, ché lei sparì repentina come era apparsa. Così
egli ramingava senza concedersi riposo, allenando nel frattempo corpo e mente, combattendo e studiando,
stringendo amicizia con i suoi simili e con gli uomini, i più numerosi in quella regione, ma con
nessun'altra razza.
Non la trovò, ma venne a conoscenza che il cuore di lei batteva per un altro. Questo fu un colpo
durissimo per lui, tuttavia la sua passione amorosa si accese viepiù, fino a degenerare trasformandosi
in qualcos'altro.
Nei suoi occhi apparve una fiamma oscura, un velo di malvagità si stese sulla sua anima,
ché, se amore non poteva essere, allora sarebbe stato odio.
Così egli passava dall'infinita tristezza alla furia cieca, repentini e imprevedibili erano
i suoi sbalzi d'umore.
Più non usava le magie legate al vento, ma ora utilizzava esclusivamente il fuoco devastatore.
Così si macchiò le mani di sangue, numerose furono le sue sconce imprese, ma esse non trovano
posto in questo racconto.
Coloro che ebbero a che fare con lui in quel torno di tempo lo odiarono, egli aveva perso il controllo,
tant'è che chi lo aveva conosciuto come Il Triste nei giorni della sua sana infelicità pensò
trattarsi di un'altra persona.
Mornàr, Nera Fiamma, il nome con cui veniva ora chiamato.
Un giorno incontrò Giustus, colui che Aglaia amava, definendolo il più fortunato degli umani.
L'incontro fu molto teso all'inizio: ma non tutte le battaglie si combattono con armi o incantesimi,
nè sono quelle le più dolorose, poiché le ferite del corpo possono guarire. L'elfo
aprì il suo cuore allo sconosciuto, era stranamente calmo e le parole che copiosamente sgorgavano
dal suo straziato cuore per mezzo della bocca erano ora dolcissime, ora terribili.
L'uomo ascoltava attentamente senza mai interrompere, e dopo il turbamento iniziale, assunse un'espressione
prima severa poi definitivamente serena, e quando fu il suo turno, sicuro di sè, così parlò:
"Se anche lei dovesse amarti, io non vi sarò certo di impedimento".
Dopo un breve silenzio, l'elfo si congedò da lui, ma non prima di fare, chiamandolo a testimone, tre
solenni giuramenti: primo e più importante, avrebbe ritrovato la donna per dichiararle
il suo amore; secondo, avrebbe cantato il suo amore e il suo dolore, ché troppi grandi erano per poter
essere dimenticati; e come ultimo, che mai più avrebbe rivolto la parola a Giustus, per tema di ucciderlo
o essere ucciso, pensando in cuor suo che in entrambi i casi la sua amata avrebbe sofferto.
Nel periodo successivo, alcuni vennero a conoscenza della storia dell'elfo, così anzichè evitarlo
cercarono di aiutarlo.
Si ricordano qui solo due nomi, i più significativi: Vivian e Dayel. La prima era un'umana che sin da
principio si era dimostrata amica dell'elfo, aiutandolo in tutti i modi, sopportandolo pazientemente nei giorni
del suo delirio (in cui ella fu duramente trattata e insultata da lui), per poi riavvicinarsi a lui nei pochi
momenti in cui era lucido. Dayel era un guerriero giovane e spavaldo, della schiatta degli elfi. Lo aiutò
alla sua maniera, coinvolgendolo nelle sue battute di caccia, facendolo così distrarre dai suoi oscuri
pensieri e dandogli modo allo stesso tempo di sfogare la sua ira.
Ma Mornàr era maledetto, così anche l'amico diveniva sempre più feroce: non badava più
a chi aveva davanti, attaccava chiunque si mettesse sulla sua strada e aveva preso a combattere usando una
pesante catena con cui fracassava i crani dei suoi avversari e si accaniva sugli inermi cadaveri.
Così l'elfo, fingendo di essere fuori di senno, condizione in cui sempre più spesso ormai si trovava,
lo allontanò da sè per tema di renderlo simile a lui nella sua nequizia.
Come detto, l'aiuto che egli ricevette fu grande e molti sacrifici e umiliazioni costò a chi glielo prestava,
ma la cura di cui abbisognava era ben altra. Passati che furono due anni dal loro primo e unico incontro,
Aglaia scorse da lungi l'elfo e lo chiamò. Egli aveva lungamente atteso quel momento, ma camminò
verso di lei lentamente come se non fosse ancora pronto e non sapesse cosa dire o fare, o forse temendone le conseguenze.
Rinnovata la meraviglia per la visione del di lei sembiante e vinta l'emozione, le raccontò delle sue tristi
vicende e dell'ombra che lo aveva aduggiato, poi cominciò a descrivere l'amore che provava per lei. Il
suo monologo era traboccante d'amore, il fuoco malvagio si traformò in ciò che era in origine,
ardente passione, e le sue parole erano capaci di smuovere le montagne e sciogliere i ghiacciai.
Ma saldamente ancorato al porto di Giustus era l'amore di Aglaia, ché ella, pur realizzando la purezza
e l'ampiezza dei sentimenti dell'elfo e sinceramente partecipando al suo dolore, non barcollò nemmeno per un
istante, come solida roccia travolta dalle impetuose acque di un torrente in piena.
Tuttavia grande sollievo apportò all'elfo la compagnia della donna e sempre lieti per lui furono i
loro seguenti incontri. Benchè l'affetto fosse il sentimento che ella gli dimostrava, il suo dolore
veniva temporaneamente mitigato e, pur continuando ad essere il più infelice degli elfi, una nuova
speranza nacque in lui, dandogli la forza per reagire allo strapotere della nera fiamma che albergava
nel profondo del suo animo, tentando di dominarla o quantomeno contenerla, lasciando che essa prevalesse su di lui
soltanto mentre combatteva, sì che potesse sbaragliare i suoi nemici, ragion per cui continuò
ad essere chiamato la Nera Fiamma. E prima di ogni battaglia, suonato il suo candido corno da guerra elfico,
egli grida: "Aurė entuluva !" ("Il giorno risorgerà!")
Questa è la storia di colui che spera di essere chiamato, un giorno, Flowris il Caldo Vento.
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