Passeggiando nella cittadina di

Silmaril
I Racconti

La Nera Fiamma

di
Flowris


Dalle testimonianze dirette e dai canti che ne parlano, è stato possibile ricostruire la seguente.


Questa è la storia della Nera Fiamma, l'elfo più infelice che mai ci fu o ci sarà. Alto di statura, neri i capelli, occhi scuri, fiero ed orgoglioso, come gli elfi di un tempo.
Egli è un mago, ma combatte sempre in prima linea, anzichè celarsi nelle retrovie.

Giovanissimo e ancora acerbo, in età di 17 anni, giunse a Silmaril, senza gloria e senza onore, ché punto o poco ricordava del suo passato.
Era forte e rapido ad apprendere. La sua magia si basava su due elementi: vento e fuoco. Il vento, il suo preferito, lo usava per lavare il suo cuore dalle impurità, così amava e ricercava la bellezza e la purezza sopra ogni altra cosa. Il fuoco e le sue conseguenze invero lo spaventavano, poiché malamente riusciva a controllarlo, così lo usava solo in caso di estrema necessità.

Giunto a Midgaard, la prima creatura parlante che incontrò fu un'umana e se ne innamorò perdutamente. Mera infatuazione pensarono taluni, ma superficiali erano solo i loro sciocchi giudizi. Solo il suono del suo nome lo inebriava, Aglaia, che a pronunciarlo un brivido corre lungo la schiena, pacate e dolci le parole che gli rivolse ed ella era certamente la più bella dei figli di Eru.
Il loro incontro fu casuale, breve ma soprattutto fatale.
Egli non ebbe il tempo di dichiararsi, ché lei sparì repentina come era apparsa. Così egli ramingava senza concedersi riposo, allenando nel frattempo corpo e mente, combattendo e studiando, stringendo amicizia con i suoi simili e con gli uomini, i più numerosi in quella regione, ma con nessun'altra razza.
Non la trovò, ma venne a conoscenza che il cuore di lei batteva per un altro. Questo fu un colpo durissimo per lui, tuttavia la sua passione amorosa si accese viepiù, fino a degenerare trasformandosi in qualcos'altro.
Nei suoi occhi apparve una fiamma oscura, un velo di malvagità si stese sulla sua anima, ché, se amore non poteva essere, allora sarebbe stato odio.

Così egli passava dall'infinita tristezza alla furia cieca, repentini e imprevedibili erano i suoi sbalzi d'umore.
Più non usava le magie legate al vento, ma ora utilizzava esclusivamente il fuoco devastatore.
Così si macchiò le mani di sangue, numerose furono le sue sconce imprese, ma esse non trovano posto in questo racconto.
Coloro che ebbero a che fare con lui in quel torno di tempo lo odiarono, egli aveva perso il controllo, tant'è che chi lo aveva conosciuto come Il Triste nei giorni della sua sana infelicità pensò trattarsi di un'altra persona.
Mornàr, Nera Fiamma, il nome con cui veniva ora chiamato.

Un giorno incontrò Giustus, colui che Aglaia amava, definendolo il più fortunato degli umani. L'incontro fu molto teso all'inizio: ma non tutte le battaglie si combattono con armi o incantesimi, nè sono quelle le più dolorose, poiché le ferite del corpo possono guarire. L'elfo aprì il suo cuore allo sconosciuto, era stranamente calmo e le parole che copiosamente sgorgavano dal suo straziato cuore per mezzo della bocca erano ora dolcissime, ora terribili.
L'uomo ascoltava attentamente senza mai interrompere, e dopo il turbamento iniziale, assunse un'espressione prima severa poi definitivamente serena, e quando fu il suo turno, sicuro di sè, così parlò: "Se anche lei dovesse amarti, io non vi sarò certo di impedimento".
Dopo un breve silenzio, l'elfo si congedò da lui, ma non prima di fare, chiamandolo a testimone, tre solenni giuramenti: primo e più importante, avrebbe ritrovato la donna per dichiararle il suo amore; secondo, avrebbe cantato il suo amore e il suo dolore, ché troppi grandi erano per poter essere dimenticati; e come ultimo, che mai più avrebbe rivolto la parola a Giustus, per tema di ucciderlo o essere ucciso, pensando in cuor suo che in entrambi i casi la sua amata avrebbe sofferto.

Nel periodo successivo, alcuni vennero a conoscenza della storia dell'elfo, così anzichè evitarlo cercarono di aiutarlo.
Si ricordano qui solo due nomi, i più significativi: Vivian e Dayel. La prima era un'umana che sin da principio si era dimostrata amica dell'elfo, aiutandolo in tutti i modi, sopportandolo pazientemente nei giorni del suo delirio (in cui ella fu duramente trattata e insultata da lui), per poi riavvicinarsi a lui nei pochi momenti in cui era lucido. Dayel era un guerriero giovane e spavaldo, della schiatta degli elfi. Lo aiutò alla sua maniera, coinvolgendolo nelle sue battute di caccia, facendolo così distrarre dai suoi oscuri pensieri e dandogli modo allo stesso tempo di sfogare la sua ira.
Ma Mornàr era maledetto, così anche l'amico diveniva sempre più feroce: non badava più a chi aveva davanti, attaccava chiunque si mettesse sulla sua strada e aveva preso a combattere usando una pesante catena con cui fracassava i crani dei suoi avversari e si accaniva sugli inermi cadaveri. Così l'elfo, fingendo di essere fuori di senno, condizione in cui sempre più spesso ormai si trovava, lo allontanò da sè per tema di renderlo simile a lui nella sua nequizia.

Come detto, l'aiuto che egli ricevette fu grande e molti sacrifici e umiliazioni costò a chi glielo prestava, ma la cura di cui abbisognava era ben altra. Passati che furono due anni dal loro primo e unico incontro, Aglaia scorse da lungi l'elfo e lo chiamò. Egli aveva lungamente atteso quel momento, ma camminò verso di lei lentamente come se non fosse ancora pronto e non sapesse cosa dire o fare, o forse temendone le conseguenze. Rinnovata la meraviglia per la visione del di lei sembiante e vinta l'emozione, le raccontò delle sue tristi vicende e dell'ombra che lo aveva aduggiato, poi cominciò a descrivere l'amore che provava per lei. Il suo monologo era traboccante d'amore, il fuoco malvagio si traformò in ciò che era in origine, ardente passione, e le sue parole erano capaci di smuovere le montagne e sciogliere i ghiacciai. Ma saldamente ancorato al porto di Giustus era l'amore di Aglaia, ché ella, pur realizzando la purezza e l'ampiezza dei sentimenti dell'elfo e sinceramente partecipando al suo dolore, non barcollò nemmeno per un istante, come solida roccia travolta dalle impetuose acque di un torrente in piena.

Tuttavia grande sollievo apportò all'elfo la compagnia della donna e sempre lieti per lui furono i loro seguenti incontri. Benchè l'affetto fosse il sentimento che ella gli dimostrava, il suo dolore veniva temporaneamente mitigato e, pur continuando ad essere il più infelice degli elfi, una nuova speranza nacque in lui, dandogli la forza per reagire allo strapotere della nera fiamma che albergava nel profondo del suo animo, tentando di dominarla o quantomeno contenerla, lasciando che essa prevalesse su di lui soltanto mentre combatteva, sì che potesse sbaragliare i suoi nemici, ragion per cui continuò ad essere chiamato la Nera Fiamma. E prima di ogni battaglia, suonato il suo candido corno da guerra elfico, egli grida: "Aurė entuluva !" ("Il giorno risorgerà!")


Questa è la storia di colui che spera di essere chiamato, un giorno, Flowris il Caldo Vento.








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