'Uomo con la
maschera sul volto si inchinò ancora una volta davanti al Mago Elfo. La luce che
proveniva dal focolare di pietra verde illuminava la stanza, ma ancora più forte
sembrava la luce della potenza che le pietre allineate sul tavolo emanavano.
"Prima che il Sole sorga due volte avrai ciò che hai chiesto". Il Mago sorrise tra
sé, e pronunciò un incantesimo di protezione sull'Uomo.
Un'ombra attraversò il villaggio senza nome dell'Impero Oscuro, le sentinelle non si
accorsero di nulla e continuarono a fissare l'oscurità. Solo il grido di una donna e
l'abbaiare di un cane ruppero la quiete della notte senza luna, ma nessuno vi fece caso.
La mattina dopo l'Uomo si recò dal Mago, con un grosso fagotto legato dietro al cavallo.
In cambio di quello che sembrava solo un pezzo di stoffa lurida, ricevette una borsa di monete
d'oro. Voltò le spalle e se ne andò, dopo aver fatto un ultimo cenno di saluto.
Nella Stanza delle Magie erano radunati alcuni Elfi. Avevano i bei visi grevi di preoccupazione
ma anche di attesa. Ivalnur il Mago depose il fagotto sul tavolo di Pietra Sacra e lo
aprì. Istintivamente tutti i presenti trattennero il respiro. Un verso acuto uscì
dalle pieghe della stoffa, seguito da una manina. Scostata l'ultima piega, il fagotto si
rivelò essere un bambino piccolissimo, nato forse solo da pochi giorni. Il piccolo viso
era scuro, un ciuffo di capelli bianchi copriva a malapena la testa e gli occhi, di un nero
striato di rosso, erano socchiusi per il pianto. Nonostante non fosse bello come i neonati
elfici, era pur sempre un bambino, e gli astanti sorrisero nel vederlo. Ivalnur impose il
silenzio e parlò:
"L'Esperimento è cominciato. Chiamate la nutrice."
Un'Elfa grassoccia avanzò, intimorita dalla presenza del Mago. Quando vide il bambino
non poté trattenere un moto di ribrezzo, e arretrò spaventata. Con uno sguardo
disperato scosse la testa e cercò di sostenere lo sguardo contrariato degli Elfi. Non
avrebbe mai potuto nutrire quell'essere, non lei, che aveva cresciuto i figli di grandi
condottieri e guerrieri.
Ivalnur la allontanò con un moto di rabbia, poi prese una pietra gialla e ne
ricavò un liquido trasparente, che avvicinò alla bocca del piccolo. Dopo qualche
istante di incertezza questi strinse i pugnetti, chiuse gli occhi e cominciò a bere; il
mago commosso lo prese in braccio e tutti gli Elfi presenti sorrisero.
"Si chiamerà Wörd, lo cresceremo come un Elfo e vedremo cosa succederà". La
riunione era sciolta.
Qualche settimana dopo un'Elfa si avvicinò nottetempo alla Casa della Magia e
bussò in modo furtivo. La porta si aprì da sola. All'interno si sentivano
strani rumori, e quando vide il Mago si rese conto che non dormiva da molte notti. Con un
dito sulle labbra per chiederle il silenzio la condusse lungo scuri e misteriosi corridoi.
Il rumore cresceva, e l'istinto materno dell'Elfa riconobbe il pianto disperato di un bambino
molto piccolo. Quando lo vide, solo e completamente disperato, neanche si accorse che aveva
i capelli bianchi e la pelle scura, ma lo prese in braccio e cominciò a cullarlo. Da
sotto il mantello, che nella fretta non aveva lasciato all'ingresso, trasse una strana foglia,
spessa e carnosa, e la mise in bocca al piccolo. Il pianto cessò quasi all'istante, e
le manine grassottelle strinsero la foglia, mentre cominciava a succhiarla. Dopo qualche minuto
il piccolo Wörd si addormentò, esausto. L'Elfa lo rimise nella sua culla, e solo allora
notò qualcosa di diverso dai bimbi Elfi.
Con un sorriso tra il divertito e il preoccupato guardò il Mago.
"Sono solo i denti. Mio marito mi aveva parlato di... questo", indicò la creatura
addormentata, "ma non sapevo che lo avreste cresciuto da solo".
Ivalnur annuì e sospirò profondamente.
"Dategli qualcosa da mordere e..." sorrise teneramente "portatelo a casa mia ogni tanto. In
fondo lui non ha colpa se è così come è".
Dopo un anno Wörd era alto quasi mezzo metro, aveva la testa ricoperta di candidi capelli, gli
occhi neri striati di rosso e la pelle scura. I denti, con grande sollievo del Mago, erano
spuntati, con i canini solo leggermente più lunghi del normale. Con suo grande
imbarazzo il piccolo lo aveva chiamato "Mamma". Lo avevano subito corretto in "Papà":
cosa ancora più imbarazzante, forse. E chiamava "zio" tutti gli altri Elfi che lo
avevano conosciuto la Notte dell'Arrivo. Nessuno ormai lo chiamava più
"l'Esperimento".
Non aveva paura della luce, ma preferiva le ore del crepuscolo per giocare. I piccoli Elfi
erano stati crudeli con lui, almeno all'inizio, ma i loro genitori li avevano redarguiti
assai aspramente, e ora una relativa calma aleggiava nei loro giochi.
Ivalnur osservava con interesse i comportamenti del bambino, e gli anni passavano senza che
i caratteri negativi della sua razza emergessero. Certo, era un pò scostante, ma in
misura normale.
Finalmente, quando aveva quasi cinque anni, fece "La" domanda. Il mago aveva già
immaginato da tempo la risposta, ragionandola insieme al resto del Clan, eppure gli parve
poco per saziare gli occhi pieni di interrogativi del loro piccolo Wörd.
"Perché io ho la pelle scura e i capelli bianchi e gli occhi rossi e loro no?"
"Perché tu sei speciale. Sei il nostro Wörd."
"Si, ma perché io si e loro no?"
"Lo scoprirai quando ti guarderai in uno specchio".
Naturalmente il piccolo corse al grande specchio dell'ingresso, ma non vide altro che la sua
immagine. Si lisciò i capelli, era un pò vanitoso, e corse a giocare con gli
altri, dimentico della sua domanda.
Ma Ivalnur sapeva che sarebbe stata ripetuta, eppure la risposta non poteva essere che quella:
"Lo scoprirai quando ti guarderai in uno specchio".
"Ma io l'ho già fatto, nello specchio vedo solo me".
"Allora questo è quello che sei. Tu sei tu".
"Questo potevi dirmelo quando avevo dieci anni, ed io ero felice così. Ma sono grande
adesso!"
Il Mago sospirò. Undici anni. Undici anni che Wörd era con lui, e ora voleva sapere.
Non glielo avrebbero detto, non loro. Ma era scritto in lui quello che era in realtà,
chi era la sua gente.
Dieci mesi prima aveva ucciso per sbaglio un piccolo uccello, e aveva pianto per una giornata
intera sul corpo della bestiola. Tutti gli Elfi del Clan avevano visto la sua disperazione, e
tutti in cuor loro avevano gioito immensamente. Wörd era un Elfo, ormai.
"Tu sei il contrario di te".
"Ma insomma!".
"Più di questo non posso dirti".
Venti anni. Era quasi un adulto, ora. E ancora non aveva sciolto il mistero della sua
esistenza. Sotto la guida paziente di Ivalnur stava diventando un buon forester, ma ancora
non era completamente a suo agio sotto la luce sfavillante del sole. Amava le piante, eppure
qualche sprazzo di crudeltà era emerso nel suo comportamento. Nulla di più
che uccidere insetti, ma c'era quasi un sentimento di gioia nell'eliminare le bestioline
dannose per le delicate piante del Giardino di Magia.
Il Mago era tranquillo lo stesso, conosceva Wörd come un figlio, e forse di più, e
sapeva che non avrebbe mai fatto nulla di male agli Elfi o alle altre creature viventi.
Fu durante un lungo viaggio di esplorazione. Era insieme ad altri giovani Elfi e stavano
imparando a muoversi silenziosamente nei territori nemici. All'improvviso da un cespuglio
sbucò una figura. Wörd rimase come pietrificato. Aveva la sua stessa pelle scura, i
capelli candidi. Ma la somiglianza si fermava lì: la faccia dell'essere era sconvolta
da un ghigno crudele, e gli occhi parevano fatti di sangue vivo. Ruggì.
Le grida sottili dei suoi compagni lo trascinavano ma il suo sguardo rimase fisso sul
cespuglio.
"Avete visto che cosa era?"
"Calmi ragazzi, dobbiamo allontanarci."
"Si ma l'hai visto tu?"
"Ma certo! Come potrei?"
"Era dunque un...".
"Si, si, l'ho visto bene, era un drow!"
Un Drow. Eppure l'aveva letto sulle pergamene, studiato con Ivalnur. E gli indizi: lo
specchio, il contrario. Scrisse con mano tremante il suo nome su una foglia, poi si
avvicinò al laghetto e ve lo tenne sopra. La superficie tremolante gli restituì
l'immagine. Ma non la stessa. Una nuova parola era incisa sul verde:
DRÖW
Come era stato sciocco. Non aveva voluto capire, fino all'ultimo si era illuso. La sua vita
gli passò davanti, con gli scherzi dei compagni, le parole sagge di Ivalnur, l'Elfa
che gli portava i dolci. E la bella Celewen che aveva rifiutato il suo amore. Arrossì
a quel ricordo, e sentì una stretta al cuore.
"Avresti dovuto dirmelo".
"Forse".
"Aiutami, io non riesco più..."
"...".
"Dimmi cosa è successo".
"E' stata una strana idea, quella di provare a crescere con noi un bimbo Drow. Molti non
erano d'accordo, pensavano fosse pericoloso, dannoso per i nostri piccoli. Ma l'idea era
nata, e le idee muoiono raramente. Dopo anni di pensieri, decidemmo che era un esperimento da
fare, una prova per sapere se anche in un Drow ci fosse del buono. E così incaricai un
Uomo che conoscevo di rapirti da un villaggio. Avevi solo pochi giorni di vita, e i miei
incantesimi ti aiutarono a vincere i cattivi condizionamenti della tua specie. Adesso sappiamo
che anche una creatura così corrotta può essere salvata dal male e tornare ad
essere un Essere della Luce".
"Voglio andare via".
"Vuoi andare da quelli della tua razza?"
"No, io sono un Elfo. Dentro. Ma qui io adesso non posso più stare. Fammi andare via."
"Sei libero di partire".
"No, via per sempre. Fammi morire, aiutami..."
"Posso solo aprire una Porta, tu potrai entrare in un Silmaril, se questa è la tua
volontà".
"Apri questo varco, Padre mio, te ne prego..."
"Hai ragione, è giusto così".
Mentre preparava la magia, Ivalnur corse indietro nel tempo, al fagotto scuro e al piccolo
bambino che piangeva, in una mattina ancora senza Sole. Alla prima volta che gli aveva fatto
il bagno, a quante volte l'aveva cullato per farlo dormire. Sorrise sentendo le lacrime
salirgli dal cuore, e le sue mani cominciarono ad aprire il Varco. Avevano pensato, orgogliosi
come erano, alla sofferenza del loro piccolo Wörd? No, loro volevano solo il loro Esperimento,
e adesso un ragazzo con il cuore infranto piangeva silenzioso dietro di lui. Lui, Ivalnur il
Mago, aveva pensato a questo? Aveva previsto che si sarebbe affezionato fino a questo punto ad
un piccolo Drow cresciuto tra gli Elfi? Non era un mago molto potente, l'apertura del Varco lo
avrebbe privato dei suoi poteri per lunghi secoli, ma questo al suo ragazzo non l'avrebbe
detto. Voleva solo che avesse la possibilità di guarire le sue ferite, che tutti loro
gli avevano inflitto, seppur involontariamente.
La Porta del Silmaril era pronta. Wörd abbracciò a lungo il Mago, poi si gettò
nei vortici e sparì.
Finalmente una lacrima, la prima da lunghi secoli, scese dagli occhi di Ivalnur, e la
sentì scendere lungo il suo viso fino a sentirne il sapore salato sulle labbra. Il
suo Wörd.
Se fosse guarito bene, se li avesse perdonati, forse un giorno avrebbe trovato la via per
tornare.
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