Passeggiando nella cittadina di

Silmaril
I Racconti

I lupi corrono ancora

di
Akela


I l mio nome è Akela. Nella mia vita prima di arrivare qui sono stata un lupo. Anzi, una lupa.
Mia madre era la compagna del capobranco, una splendida femmina dal pelo grigio. Mio padre non so chi era, nei branchi è difficile capire queste cose. Nel mio cuore ho sempre sperato che fosse proprio il capobranco, Kundale, un magnifico lupo dal pelo nero e dai grandi occhi gialli.
Il mio Branco non aveva un nome, lo cambiava secondo il suo capo. La lupa più anziana mi raccontava che noi eravamo lupi speciali, perché ere addietro avevamo aiutato la Maia Melian a trovare il suo sposo perduto nell'oscurità, grazie all'olfatto. Lei aveva lanciato una sorta di benedizione sui discendenti di quei primi lupi. Allora pensai che fosse una bella favola.
Il primo ricordo che ho è quello del muso di mia madre chino su di me, per leccarmi, e il sapore dolce del suo latte.
Poi viene il ricordo della Carestia. Ero ancora una cucciola, gli adulti non mi facevano mancare mai nulla. Nelle leggi del Branco quando il cibo o l'acqua scarseggiano, i piccoli sono sempre i privilegiati. Nonostante questo i miei fratelli morirono tutti e nel gruppo non rimasero che sei cuccioli.
Credo che ci fu una migrazione, ricordo lunghe marce a fianco di lupi di cui non conoscevo l'odore: nei tempi di carestia i branchi spesso si uniscono. Avrò avuto tre, forse quattro lune. Mia madre mi lasciava ad un giovane lupacchiotto che si prendeva cura dei cuccioli mentre gli adulti andavano a caccia.
Ho un ricordo molto preciso del primo giorno in cui mangiai a sazietà, insieme a tutto il branco: erano penetrati in un luogo pieno di cervi, mi raccontarono in seguito che gli Umani usavano tenerli tutti in un cerchio chiuso, per poterli uccidere con comodo.
Quando tre degli adulti del gruppo che si era unito al nostro Branco vennero uccisi dagli Umani ci spostammo di nuovo. Questa volta potevo camminare a lungo da sola, mia madre non doveva più portarmi. Arrivammo in una foresta pervasa da un odore pungente, fresco. Un adulto mi fece capire che quello era l'odore dell'acqua e io corsi insieme ai miei compagni a bere. Il Branco decise di stabilirsi in quel luogo: i cacciatori non avevano avvertito odori ostili e non c'erano tracce di Umani o Orchetti.
Fu in quel periodo che vidi per la prima volta gli Elfi. Ero acquattata sotto un grosso cespuglio, cercando di sorprendere un insetto, quando sentii un fruscio vicino a me. Avvertii l'euforica sensazione del pelo che si alza sulla schiena e rimasi immobile come mi aveva insegnato il Capobranco. Mi fecero quasi pena, quegli esseri senza zanne e senza peli e sarei saltata addosso a quell'essere se un istinto più antico di me non mi avesse obbligata a stare immobile. Ancora non conoscevo la funzione dei lunghi rami ricurvi che gli Elfi portano sulle spalle.
Spesso la notte salivo sulla cima più alta delle colline e stavo ore ad ascoltare il vento che mi frusciava nel pelo. Amavo e amo il vento, l'euforica sensazione dell'aria che spinge le orecchie all'indietro e muove il pelo ad onde. Mi sentivo viva e perfetta in quei momenti.
Ma la sensazione più splendida in assoluto era correre con il Branco. Non conoscete tutto della bellezza se non avete mai visto un branco di lupi che corrono nella notte, silenziosi e terribili come angeli scuri.
Quando arrivai ad avere sei lune, una notte di luna piena, un lupo nuovo arrivò tra noi. Aveva un odore debole, pensai che fosse ferito. Grande fu la mia sorpresa nel vedere che gli adulti lo cacciavano via: un lupo ferito che arrivi in un Branco viene subito adottato, curato e nutrito. Cercai di protestare, ma venni gettata a terra con una severa zampata da un cacciatore. Fu una femmina che mi spiegò il mistero: quello non era un lupo, era un uomo stregato che nelle notti di luna piena si trasformava in un essere spaventosamente simile a noi. Memorizzai l'odore di questi uomini-lupo, perché ne avevo paura e volevo poterli riconoscere. Il Lupo Mannaro (così gli umani chiamavano questi esseri) non tornò più, ma io per molte lune sognai grandi lupi neri che si trasformavano in uomini dall'odore di animale ferito.
Imparai a cacciare in modo silenzioso e a mostrarmi feroce quando ero impaurita. Poi cambiai posto per dormire: mia madre aspettava dei cuccioli e io non potevo più stare con lei.
Aveva appena partorito quando la vedetta avvistò il primo Orchetto.
Forse anche loro avevano sentito l'odore dell'acqua e si erano fermati poco lontano, quando c'era stata la Carestia. Erano buffi, nonostante le lunghe zanne e il colore viscido della pelle. Odoravano di caverna, di umidità e muffa. Ma anche di sangue rappreso. Fu quest'ultimo odore che mi mise in allarme. Nella Radura i lupi avevano preso posto per il Consiglio. Kundale, eletto di nuovo Capobranco la luna prima, sedeva su un grosso masso. Non mi era permesso partecipare, non avevo ancora raggiunto le dodici lune di età, così mi nascosi per ascoltare. Decine di occhi gialli illuminavano lo spiazzo tra gli alberi. I suoni leggeri mi arrivavano con difficoltà alle orecchie, non capivo il perché di tanta preoccupazione: gli Elfi che vivevano vicino a noi sembravano più pericolosi di questi esseri grotteschi. Ma i luminosi Elfi non odoravano di sangue, in effetti. Prima di assopirmi, in fondo non ero che una cucciolotta, sentii che saremmo dovuti partire con la luna piena, tra due albe appena.
La sera seguente, incurante dei consigli dei cacciatori mi avventurai nel folto per cacciare. Avevo undici lune, mi sentivo invincibile e immortale. Non avrei potuto sentire la trappola neanche se l'avessi voluto, era vecchia e l'odore di sangue si confondeva con quello delle foglie. Mi sentii sprofondare e non riuscii a trovare un appiglio. Una punta crudele penetrò nel mio fianco, facendomi uggiolare dal dolore. Quando ebbi il coraggio di aprire gli occhi mi reso conto che non avevo scampo: pareti dritte, lisce, profonde. Lanciai un potente ululato, nonostante sentissi le mie forze venire meno. Dopo qualche tempo arrivarono i miei compagni, vidi i loro occhi gialli scintillare sul bordo della fossa. Kundale mi fece coraggio con lo sguardo e cominciò a pensare. Poi li vidi fuggire tutti e capii che il nemico era arrivato. Odore di morte e di paura, ecco che cosa era ciò che emanavano gli Orchetti. Vidi il volto crudele ghignare e alzare una lancia. Poi la luce. Bianca, ma non accecante, si avvicinava come se danzasse. Ricordai le parole della vecchia Lupa.
Così Melian tracciò nell'aria dei gesti arcani e parlò ai Lupi. "Nessuna creatura del Male potrò mai uccidervi, questo è il mio dono". E ancora oggi i discendenti di quell'eroico Branco non possono essere uccisi da creature maligne.
Mentre la tiepida luce mi pervadeva vidi attraverso di essa gli alberi d'oro del leggendario Silmaril, il luogo della Salvezza secondo le nostre leggende. Mi sentii meglio, mentre avvertivo odore di paura nell'Orchetto. Un attimo prima di sparire nella luce raccolsi tutte le mie forze a lanciai il richiamo del Branco.
"Buona caccia a tutti voi, che rispettate le leggi dell'Onore!"
Mentre venivo risucchiata dal vortice pensai al mio gruppo e lanciai un ultimo ululato.
"Dite al Branco che Akela corre ancora!"

Stanza tra i due mondi.
Mi rialzai ancora dolorante. Allungai il muso per leccarmi la ferita e non vidi la mia pelliccia. Mi guardai le zampe, poi tutto il corpo. Grande fu la mia sorpresa nel trovami umana. No, non umana, ero un'Elfa. Ancora impacciata da quel lungo corpo mi drizzai sugli arti posteriori, Una rozza armatura mi stringeva il busto, per terra vicino a me trovai una spada rovinata e uno scudo di cuoio.
Improvvisamente qualcosa mi sfiorò il corpo. Ci volle qualche istante per capire che da una porta aperta arrivava una forte corrente d'aria. La mia nuova pelle era molto sensibile, priva di peli, era come se qualcosa mi stesse accarezzando dolcemente. Portai le mani alla faccia, istintivamente. Avvertii forme strane, piatte. Sulla parete c'era uno specchio polveroso. Lo pulii con un braccio e guardai il mio nuovo viso. Le orecchie erano leggermente appuntite (dunque ero proprio un'Elfa) e del mio corpo di lupa conservavo ancora gli occhi. I miei occhi gialli che nel buio scintillano. Provai a sorridere, venne fuori l'aria canzonatoria che hanno i lupi quando stirano la bocca. Mi guardai intorno, raccolsi la spada e ancora incerta nel mio corpo vulnerabile e privo di pelliccia mi avviai verso la porta da cui arrivava la corrente d'aria. C'era scritto sopra Scuola, in caratteri Feanoriani.
Prima di varcare la porta alzai il viso verso l'alto e lanciai un ululato. Dunque ero ancora capace di lanciare il grido di caccia.

Se per caso vi trovate in una foresta e vedete dei lupi dagli occhi gialli, per favore, dite loro che Akela corre ancora.








[ Entrata ]   [ Gioca ]   [ Mappa ]