Passeggiando nella cittadina di

Silmaril
I Racconti

Amberly delle Terre del Nord

di
Amberly


Nel momento stesso in cui aprii gli occhi nella radura, capii di non sapere assolutamente dove mi trovavo, né chi fossi. Mi rialzai indolenzita come se mi fossi svegliata dopo un lungo sonno, e mi guardai: una semplice e corta tunica sul corpo, delle leggere calzature di pelle ai piedi e un piccolo pugnale legato ad una cintura. Al collo sentii la presenza di qualcosa di strano: lo toccai, e sentii che era un intreccio metallico. Nel momento stesso in cui le mie dita lo sfiorarono, si scaldò e si mosse, facendomi sobbalzare, e allontanai spaventata la mano. Ma avevo fame come se fossero passati giorni dal mio ultimo pasto, così, mentre la mia mente confusa cercava una risposta, mi alzai e mi avviai verso un sentiero che attraversava il bosco, poco distante da me. Durante il cammino giunsi a un piccolo torrente, e in un'insenatura dove l'acqua era calma e trasparente, mi specchiai. Vidi un volto sconosciuto, o meglio, vidi me stessa ma per un istante non mi riconobbi. Le lunghe trecce caddero in avanti, rompendo lo specchio d'acqua e i miei pensieri, e nella mia mente si formò un nome: Amberly. Ero io, ne ero sicura, ma niente altro illuminò i miei pensieri.

Proseguii lungo lo stretto sentiero, finchè giunsi ai confini del bosco, e scorsi a poche centinaia di metri le mura di quella che mi sembrava una grande città. Felice, ma impaurita allo stesso tempo, accelerai il passo e giunsi alle porte di Midgaard, il nome della città, capitale di Silmaril, come venni a sapere da una delle guardie al cancello. Questi nomi non mi dicevano nulla, il vuoto regnava sovrano dentro di me, ma decisi di non lasciarmi prendere dallo sconforto e di entrare: stava facendo buio, avevo fame ed era il caso di cercare rifugio da qualche parte. Le strade erano affollate, e graziosi negozi si affacciavano su quella che doveva essere la via principale della città; giunta ad una piazza, sentii i rumori tipici delle locande, e mi avviai verso la locanda "C'era una volta". Forse lì qualcuno avrebbe potuto aiutarmi a capire almeno dove mi trovavo. Entrai e mi sedetti, e subito si avvicinarono diverse persone. Le razze erano molteplici, ma sembrava che a nessuno importasse: solo alcuni drow e alcuni orchi vennero cacciati in malo modo, ma del resto era evidente a tutti che erano entrati nella locanda solo per litigare con gli altri avventori.

Uno dei primi che si presentò fu Flowris, un elfo a cui devo molto e che purtroppo se n'è andato in circostanze misteriose, avvolte di follia. Non dimenticherò mai la sua amicizia, e spero un giorno di rincontrarlo ancora. Molti altri accorsero in mio aiuto fin dal primo istante, e mi coprirono di doni, primo fra tutti Aldamir, mago del Fulmine Azzurro. Man mano mi vennero spiegati gli usi della città, la gerarchia delle gilde, etc. e con il tempo scordai di aver dimenticato il mio passato; la mia vita era lì a Silmaril oramai, avventurosa e spensierata.

Nei giorni successivi scoprii di avere dei poteri mentali molto forti, ed andai dal maestro Hypnos a istruirmi. Tutto proseguiva nella più assoluta normalità, giorno dopo giorno, anno dopo anno, finchè non incontrai quello che sarebbe diventato il mio compagno per la vita, l'Elfo Araglar. Dal primo istante in cui mi sorrise, capii che le nostre anime erano destinate a unirsi, che la luce del suo sguardo mi avrebbe fatto splendere, e quando mi baciò per la prima volta, seppi con certezza che i nostri destini erano legati oramai in modo indissolubile. Ma una delle prime domande che mi pose riportò alla luce ciò che la mia mente aveva messo da parte. Mi chiese da dove venivo. Lì per lì non seppi che dire, e quando ci lasciammo tornai nella radura nel bosco, a pensare, e mi addormentai. Ebbi incubi e visioni, che sconvolsero il mio cuore e i miei pensieri: immagini di prigioni buie, di catene, di fuoco e di magie, pensieri confusi e voci echeggiavano nella mia testa, ma non mi svelarono nulla. Con il tempo, le visioni aumentarono, e mi portarono a uno stato di depressione tale da pensare alla morte, ma l'amore di Araglar ancora una volta spazzò via le tenebre dal mio cuore, e cercammo di ricostruire assieme ciò che non capivo. Ma l'enigma era grande, e la confusione era tale che iniziai a pensare di essere stata un tempo così malvagia da aver sacrificato una sorella, Aylinn, nome che mi apparve in una visione, alla magia e al potere. Finchè un giorno, l'ultimo sogno svelò ogni mistero sul mio passato e con gioia e dolore scoprii di avere una sorella perduta, seppi da dove venivo e come mai mi trovavo qui. Apparve proprio Aylinn in un sogno che sonno non era, e mi parlò per molto tempo, e schiarì il cielo nuvoloso dei miei pensieri. Ancora riecheggiano nella mia memoria le sue parole...

"Ciao Amberly, finalmente ci rivediamo". Mi voltai di scatto, nel sogno, mentre ancora cercavo di capire dove fossi. Una giovane elfa identica a me, mi stava guardando sorridendo. Era lei. Aylinn. "Lo so che hai molte domande, e forse è giunto il momento di avere delle risposte. Non tutte, non è ancora tempo. Ma temo per la tua mente... non vorrei che ricordi sbagliati ti portino ad accusarti di misfatti non compiuti, non vorrei mai che ciò che visioni malate ti hanno mostrato minino il tuo amore per la vita e per il tuo sposo." Mentre mi parlava, il paesaggio intorno a noi mutava di continuo. Più che un paesaggio, sembrava una tavolozza di colori buttati a caso su una tela, senza forma, senza scopo. Eppure la gioia che comunicavano era indescrivibile.

"Parla. Chiedi. A ciò che posso, risponderò."
"Beh... è tutto così strano qui... innanzitutto dove sono... e tu? Sei davvero mia sorella, seppure io non ricordo di averne avuta nessuna? Ah, ma i miei ricordi sono così confusi, che potrei averti dimenticato... potrei persino aver dimenticato di averti uccisa o abbandonata"

Un leggero velo di tristezza apparve sul suo volto... "Per quanto riguarda il posto dove siamo, purtroppo mi è vietato dirtelo per ora... per quanto riguarda noi due... si, Amberly, siamo sorelle... o meglio, lo eravamo quando il mio spirito camminava ancora sulla terra. Eravamo più che sorelle... eravamo gemelle, unite da un sentimento tanto forte che è riuscito a tenerci unite anche dopo la mia morte. Morte... o meglio... perdita del mio corpo fisico...

Ma iniziamo con calma, il nostro sarà un lungo e doloroso viaggio nel passato, ma servirà a farti vivere bene il resto della tua vita... e chissà... forse anche a fare ancora una volta qualcosa per me, come tentasti di fare prima di perdere i ricordi.

Nascemmo in un villaggio lontano da Silmaril, a nord, oltre il mare che segna un confine immaginario, oltre le isole nascoste da nebbie eterne, in una città chiamata Justice... il nostro era un mondo molto diverso da quello in cui ti trovi ora... la scienza lì, aveva preso il sopravvento e i pochi maghi e stregoni rimasti venivano perseguitati e uccisi... Fin da quando venimmo alla luce, i nostri genitori capirono che saremmo state fonte di guai per loro e per noi stesse, se fossimo rimaste in quel paese crudele. Io e te parlammo da sempre... tu non ne hai più ricordo, ma io si... mentre gli altri bambini piangevano e dormivano giorno dopo giorno, io e te univamo le nostre menti e imparavamo a dirigere i nostri pensieri per compiere azioni miracolose, operare prodigi, muovere oggetti... Un giorno, quando avevamo oramai 4 anni (sebbene ne dimostrassimo mentalmente già molti di più) venne a bussare alla nostra porta una vicina. Era disperata, piangeva, e disse qualcosa alla mamma. Appena questa se ne andò, nostra madre iniziò a correre per la casa, prendendo a caso le cose che le capitavano sotto mano, e buttandole in degli zaini... Dopo un'ora eravamo in viaggio... solo con nostra madre. Lei non parlava... ci disse solo "Niente prodigi... o accadrà il peggio". Con uno strumento fra quelli inventati dagli scienziati di Justice, mia madre chiamò nostro padre, che ci raggiunse a cavallo lungo la strada. Il viaggio fu lungo e stancante, e dopo due lunghi giorni di strada, giungemmo sulla spiaggia di Silversand, la Città d'Argento Splendente, l'ultima frontiera prima della fine del mondo. Devi sapere che a quel tempo, e probabilmente ancora oggi, tutti credevano che a sud del mondo non ci fosse nulla... se non mare e morte. Una nebbia eterna circondava come un recinto il mare, e coloro che si erano avventurati oltre i flutti non fecero mai ritorno. Eppure leggende antiche raccontavano di isole dimenticate, abitate da maghi molto antichi e potenti. Ma erano solo leggende. Eppure erano la nostra unica via di fuga...

Partimmo in un freddo mattino, fra le braccia dei nostri genitori, su una piccola barca di legno. Il pescatore che ce l'aveva venduta aveva voluto molti soldi per quel pezzo di legno marcio, ma del resto non avevamo scelta. L'inizio del viaggio fu tranquillo, se non addirittura piacevole. In fondo io e te eravamo comunque delle bambine, e l'acqua, il sole, i pesci che seguivano la scia della nostra barca ci riempivano di gioia e stupore. Un sottile velo di paura avvolgeva i volti dei nostri genitori, soprattutto quando guardavano a sud, verso quell'eterno muro di nebbia che ci veniva incontro. Viaggiammo così per un giorno intero, finchè entrammo nella nebbia. Non si vedeva più nulla ora, e nessun pesce ci seguiva più... Strani canti si udivano nell'aria, ma non potevamo capire da dove venissero e da chi o che cosa nascevano.

Poi passò molto tempo, e anche i miei ricordi sembrano essere stati assorbiti dalla nebbia che ci avvolgeva... Non so quanto tempo dopo la nostra entrata nel vuoto, come lo chiamavo io, il mare iniziò ad agitarsi. Di quei momenti non ho memoria... immagini si levano nella mia mente, visioni di onde spaventose e gorghi oscuri, ancora mi giunge l'eco delle grida di nostro padre mentre chiamava la mamma e ci legava entrambe a un pezzo della barca oramai distrutta. Poi il buio...

E infine, nuovamente la luce, e volti sconosciuti che ci guardavano curiosi. Come venimmo a sapere dopo, ci trovavamo sulle famose isole dei Dimenticati, i grandi e potenti maghi del sud, quelli delle leggende. Ci accolsero e ci curarono negli anni, e ci insegnarono a usare i poteri della nostra mente, ma ahimè, qualcosa all'improvviso ci divise. Un giorno, durante una passeggiata, conobbi Cendor, l'Oscuro Signore dell'isola più occidentale. I maghi nostri maestri ci avevano avvertito di non avventurarci mai verso occidente, ci avevano detto che non tutti i maghi dell'isola erano buoni, ma non fui io a trasgredire, fu Cendor ad avventurarsi dove qualcosa di potente lo richiamava. Appena lo vidi, non lo riconobbi come oscuro, ma ciò che mi apparve fu un giovane gentile e simpatico, che con i suoi occhi di ghiaccio e il sorriso sempre pronto, rapì il mio cuore e la mia mente. Non dissi a nessuno che lo frequentavo, perchè così voleva lui... oh, si, Amberly, il suo incatesimo fu potente, e io divenni mentalmente cieca per lui. All'inizio non mi disse chi era, poi mi raccontò una storia... si, di come fosse stato allontanato ingiustamente... ed io credetti alle sue parole, ovviamente, e ciò portò astio nel mio cuore, verso coloro che ci avevano salvato.

Finchè un giorno mi portò nel suo laboratorio, nei sotterranei della sua torre. Mi disse che la mia mente avrebbe potuto fare grandi cose assieme alla sua...

La prima volta che vidi la sfera rosa, il mio cuore sussultò, e una voce nella mia mente mi disse di andarmene, di scappare, ma forte era l'amore che provavo per lui, e in fondo, tutte le sue parole sulla potenza delle nostre menti, mi avevano convinto che ero preparata a tutto e pronta a ogni prova. Iniziai a passare ore sui libri a studiare, rinunciando anche al cibo per imparare, mentre tu ascoltavi le voci dei maestri e imparavi da loro la magia. Incominciai a chiudermi per giorni e giorni nella mia stanza, e nonostante tu venissi sempre a cercarmi e a portarmi da mangiare, io non ti ascoltavo, e ti cacciavo spesso in malo modo, per paura che scoprissi la mia relazione, per paura chissà... che me lo portassi via o che mi rovinassi tutto. Non so come entrò il male nella mia mente... forse lui, forse la sfera... ancora oggi non me lo so spiegare.

In ogni caso, venne il giorno della prova. La sfera era un dono del cielo, mi aveva raccontato, ed aveva un potere immenso nascosto e non ancora addomesticato. Andai da lui, bella come una sposa, pronta alla prova. Ero talemente sicura che lui mi avrebbe protetto, che i sottili dubbi che attanagliavano la mia mente si scioglievano come ghiaccio man mano che mi avvicinavo alla torre.

Come potevo sapere che mi seguisti, quel giorno? Come avrei potuto immaginare che dopo tanta segretezza, proprio in quel nefasto giorno avevi deciso di sfidare il mio segreto... Arrivai alla torre, e andai da lui. Mi abbracciò e mi baciò come sempre. Mi portò nella sua camera, e mi disse che era felice che io fossi lì. Facemmo l'amore, e fu l'ultima volta che fui felice.

Finalmente era giunta la sera, e l'ora propizia per ciò che dovevamo fare. Lui mi aveva spiegato che avrei dovuto semplicemente concentrarmi sulla sfera con la mente, appoggiandole le mani sopra. Poi, mi disse, lui mi avrebbe raggiunto e assieme avremmo scoperto l'anima della sfera e l'avremmo domata.

Quando vidi la gabbia di ferro, ti giuro che un ultimo brivido di terrore mi percorse l'intero corpo. Davanti alla gabbia, c'era una tenda rossa. Non l'avevo mai vista, ma lui mi disse che aveva catturato degli animali che avrebbero potuto servirci per la prova, così non ci badai tanto. Mi baciò per l'ultima volta, e mi fece entrare nella gabbia. Il mio pensiero, non sapevo allora perchè, correva sempre a te, mia adorata sorella... non riuscivo a capire perchè immagini di te che piangevi disperata affiorassero nella mia mente. Le scacciai in fondo alla mente, e seguii le sue istruzioni. Entrai nella gabbia, e lasciai che mi legasse delle catene alle caviglie. Mi disse che era per evitare che mi facessi del male. Mi disse di stendere le mani sulla sfera e di rilassarmi. All'inizio sentii solo un caldo formicolio, poi improvviso e deciso come un fulmine, un terribile dolore si diffuse lungo tutto il mio corpo. Vidi degli strani scintillii metallici sulla pelle delle mie mani, e riguardai la sfera. Ora non c'era più una palla rosa davanti a me, ma un baratro oscuro e senza fine. Ritrassi con grande sforzo le mie mani, e cercai di respirare per allontanare il dolore.

"Rimetti subito le mani sulla sfera!" - tuonò Cendor, e guardandolo lo vidi improvvisamente vecchio ed orribile. "Fammi uscire di qui! Che cosa hai fatto... cosa sei diventato" - gridai con le forze che mi rimanevano.

"Fallo! O lei morirà davanti ai tuoi occhi e per mano tua!" - disse, e in quel momento spostò la tenda. Oh Amberly, quale orribile sorpresa vederti lì incatenata davanti ai miei occhi. Mi guardavi in silenzio e vedevo che stavi soffrendo il mio stesso dolore. Capii che non avevo scelta. Se non avessi continuato, saresti morta... e se lo avessi fatto probabilmente sarebbe stato peggio... ma come ti ho detto, non avevo più scelta. Avrei avuto mille occasioni per accorgermi del mostro che mi aveva ammaliato... oramai era tardi, ed era giunto il momento di pagare il conto. Allungai con dolore le mani, le vidi tingersi d'argento vivo, guardai il baratro e mi ci buttai dentro. Caddi nel vuoto, e sentii il mio corpo sciogliersi come metallo in una fornace. Poi più nulla.

Non so quanto tempo dopo sentii le urla dei nostri maestri, e le tue...". Aylinn si interruppe, e nella mia mente tutto fu chiaro. "E alle nostre si aggiunsero quelle di Cendor, bruciato dalle menti dei maestri" - proseguii io oramai consapevole del mio passato - "Non avevo potuto parlare fino a quel momento, ammutolita da un incantesimo malvagio, ma come io avevo seguito te, i nostri maestri avevano seguito me. Avevano lasciato che mi catturassero mentre io ti inseguivo, e seguirono a loro volta i miei rapitori. Vidi Cendor scomparire, e la sfera trasformarti in metallo fuso. I maghi corsero da te, ma era troppo tardi. Raccolsero il metallo liquido e lo forgiarono a forma di ciondolo. Mi dissero che la tua anima era ancora lì, e che forse in qualche luogo lontano avrei potuto trovare chi ti avrebbe ridato il corpo. Ma perchè la tua anima sopravvivesse, avrebbero dovuto unire ciò che di te era rimasto con un essere vivente. Mi offrii io, e furono loro a incastonarti nella mia pelle. Non fu una cosa dolorosa, ma mi avvertirono che non sarebbe stato facile convivere con il ciondolo. Eri viva, e la tua mente era ancora contaminata dalla pazzia della sfera e dal male di Cendor. Mi avvertirono che avresti potuto farmi del male, ma volli provare lo stesso. In fondo mi sentivo in colpa per non averti salvata molto tempo prima, quando le cose avevano iniziato a sembrare oscure. E così fosti tu a farmi perdere i ricordi all'inizio. E fosti sempre tu a confondere la mia mente con immagini sbiadite."

Ricordo ancora come il silenzio cadde fra noi, mentre con la mano accarezzavo il ciondolo tiepido. Mi avvicinai ad Aylinn e la abbracciai forte, mentre calde lacrime scendevano sui nostri visi. Il mio passato era oramai svelato, e il futuro mi porgeva due strade. La prima, mi imponeva di andarmene da Silmaril, alla ricerca di un rimedio forse inesistente. La seconda, mi suggeriva una vita di studio delle arti magiche a e di lotte a fianco del mio sposo. Sapevo allora, quando scelsi la seconda strada, che forse non avrei mai più rivisto Aylinn, ma molte cose possono accadere negli anni, e la nostra vita è lunga. Forse un giorno, quando sarò pronta ad affrontare ogni sfida, mi incamminerò ancora una volta verso l'ignoto, con la speranza di far rivivere ancora una volta la mia sorella perduta. E se il mio amato vorrà accompagnarmi, sono sicura che grazie alla sua luce troveremo la via.








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