Passeggiando nella cittadina di

Silmaril
I Racconti

Fortuna e Sfortuna

di
Kijio


Era una giornataccia. Dalla mattina, iniziata con un risveglio tremendamente assonnato e con ritardo mostruoso, a continuare con la lezione della materia che a lui tanto piaceva, ma che incomprensibilmente sembrava tutta a un tratto pallosa come la peggior romanzina di sua nonna, al pranzo della mensa peggiore del solito, all'ulteriore lezione 'sonnifera' del pomeriggio.
- Oh cacchio, e stasera vado pure al Jib ...- pensava Gigi mentre si incamminava, appena uscito dalla facoltà, verso cena - almeno spero di ricordarmi le battute ... mbà ... inventerò ... tanto peggio di così ... speriamo domani ...
- Hei Gigi! - un ragazzo alto, con la fronte stempiata, nerboruto, lo salutò dall'altra parte della strada, con la mano alzata ed il pollice alzato - Grande! Ci sei vero stasera? Mi raccomando, non ci deludere! Sei il migliore! -
Gigi sorrise, era ormai diventato noto alla facoltà. Una sera era stato invitato sul palco di un locale alla moda per essere preso in giro dal comico di turno, d'altronde si prestava: bassetto, la pancetta appena prominente, i capelli sgaruffati, gli occhiali inforcati alla 'bellemeglio' e l'aria da eterno sognatore. Cionostante, fin dalle prime battute rispose in maniera talmente ironica e impacciata, facendo ridere il pubblico di gusto, che divenne, suo malgrado, il protagonista assoluto della serata.
Da allora il proprietario, che aveva assistito 'all'esibizione' volle in tutti i modi che Gigi facesse degli schetch. Ovviamente Gigi sulle prime rifiutò ma sapendo che un gruzzoletto gli sarebbe stato utile accettò pur con un certo rammarico.
Ormai erano quasi due mesi che si esibiva il venerdì sera, e la cosa dopotutto non gli spiaceva. Pensava alle battute da dire durante la settimana, le buttava giù su un pezzo di carta, ed incredibilmente il venerdì sera riusciva ad inventare divertenti giochi di parole e scherzi sgangherati, a cui la clientela, soprattutto i ragazzi universitari, rispondeva sganasciandosi dalle risate.
- Eee già, si si, vado a cena e poi vengo ... anche se stasera spero di non fare brutte figure! - esclamò portandosi la mano destra sul capo e grattandosi ripetutamente, scompigliando ancor più l'approssimata capigliatura.
Dall'altra parte il grosso ragazzo, come vide il gesto, incominciò a ridere di cuore - Vai vai, sei forte! Ah ah ah ! - gli urlò mentre saliva su un motorino sgangherato e partiva sgommando.
Finita la cena, fatta di una porzione di pizza fredda e yoghurt aperto da una settimana, si incamminò per la via della città, ripetendo mentalmente le battute.
In men che non si dica si trovò davanti all'entrata posteriore del locale. Era un vecchio edificio, ingrandito in tempi successivi, attaccato ad una chiesa del '400, cui doveva servire una volta per sacrestia. Salì velocemente i dieci gradini e bussò alla porta, pregustando la gioia di vedere chi gli avrebbe aperto. Difatti, una bella ragazza orientale, Sun, gli aprì la porta e gli sussurò sorridendo - Ooo eccolo il nostlo onolato e simpatico comico ...- accentuando l'accento orientale ed ammiccando. Gigi sapeva bene che quella ragazza dagli occhi dolci aveva capito che aveva fatto breccia in lui e tutte le occasioni erano buone per ricambiare con la stessa simpatia ed autoironia.
- Ciao Sun! - gli sorrise impacciato - ci sei anche tu stasera? bene bene ... - era veramente impedito in sua presenza ed il vestito attillato che indossava lei non lo aiutava di certo.
- E che azzarolla - pensò - ma come fa quest'angelo a stare con un tafanaccio come il figlio del proprietario? -
Neanche a dirlo si sentì un'energica battuta sulla spalla.
- Oh! Eccolo qui il nostro comico di punta! Allora, sei pronto? -
- Eccolo - pensò Gigi - il tafanaccio malefico, altro che ... ci vorrebbe il DDT!
Un ragazzo alto una quindicina di centimetri più di lui, vestito come un damerino, con la faccia abbronzata e i capelli gelatinati all'indietro, lo guardava dall'alto in basso con espressione fra il superiore e il compatimento.
- Ehm sì, manca ancora mezzora abbondante - gli rispose rimuginando - ma, non mi è stato ancora assegnato il camerino, mica sai dove hanno messo la mia roba stavolta? -
- Uh? Boh non saprei, mi sa giù, negli scantinati - gli rispose affabilmente - ma stai attento, si dice che ci siano i fantasmi! ah ah ah! -
- Che cretino patentato - pensò abbassando la testa e scuotendola - ma tu guarda un po' come si diverte questo a far dispetti alle persone, come se non lo sapessi che è lui l'addetto alla logistica dello spettacolo! -
- Vabbè ... allora vado ... - rimuginò a mezza voce - Sicchè ... aah ... gli scalini per 'sotto' sono lì vero? Eh si si ... va bene vedo la porta mi arrangio da solo -
- Addio Gigi - gli rispose di rimando il 'tafano' - Ci vediamo dopo ... forse. Ah ah ah! -
Gigi rispose con un mezzo sorriso e non ebbe il coraggio di guardare in faccia Sun mentre, aprendo la porta scricchiolante, stava per scendeva gli scalini di legno al buio.
La cosa apparve subito epica: le scale scendevano ripide e non si intravedeva da nessuna parte un interruttore. Incominciò a scendere e dopo una decina di scalini si trovò davanti ad un bivio.
La luce di una finestrella da qualche parte in alto faceva intravedere un'interruzione delle scale.
Era un pianerottolo in legno e le possibilità erano due, o si scendeva ulteriormente al buio oppure si entrava in una porta di legno bloccata da un grosso lucchetto arrugginito.
- Conoscendo il 'furbone' l'avrà sistemata qui la mia roba - mormorò digrignando i denti - mi toccherà ritornare indietro e chiedergli la chiave! Questa volta però col cavolo che gli chiedo una cortesia!
Incominciò a muovere il chiavistello di ferro che bloccava la porta e vide che il legno, ormai tarlato da lungo tempo, non offriva molta resistenza. Difatti dopo un paio di energici strattoni cedette di colpo, facendo cadere Gigi a cambe all'aria. Si guardò intorno, aspettandosi un grassa risata di qualcuno, ma in tutta risposta sentì solo il rumore del rimbombo della sua caduta.
Aprì la porta e intravide qualcosa sul battente, lesse a malapena qualcosa scritto in rosso, ormai sbiadito dal tempo: - propr sant'uffitz no entr. - - Mbà e che vuol dire questo? Sembra vecchio, sarà qualche vecchia indicazione - Non ci penso più di tanto, era troppo arrabbiato per considerare quello che stava facendo.
- Ma ndò sta sta luce? - pensò e in tutta risposta incominciò ad inciampare, facendo gli scalini a tre a tre, finendo con la faccia in mezzo ad una cassa mezza aperta che, riconobbe al tatto, era piena di candele.
Ebbe appena il tempo di alzarsi e prendere una candela in mano che vide la porta da dov'era venuto chiudersi, seguito da una serie di rumori secchi, come se qualcuno avesse provveduto a bloccargli il passaggio.
- Ecco, il solito scherzo cretino! - urlò in direzione della porta. Stranamente non sentì l'eco della propria voce, ma non ci fece caso più di tanto, era veramente furioso.
Si ricordò che doveva avere dei cerini in tasca per il fornellino a gas della sua 'stamberga' da universitario.
Infatti ne prese uno e accese la candela in mano, poi ne prese altre quattro appoggiandole a ciascun angolo della stanza.
Finì di posizionarle e, guardandosi intorno, rimase a bocca aperta. Sui muri antiche iscrizioni erano adornate da simboli strani, ma la complessità degli intagli, in parte sulle pietre, in parte sui vecchi mattoni, erano di un'accuratezza unica. Sulle prime pensò a simboli medievali riguardanti l'inferno, ma poi si accorse che, accanto a mostri simili a demoni e draghi, vi erano altre creature, come strani ometti con la barba lunga e esseri metà uomini e metà cavalli.
- Toh! - pensò sorpreso gurdando una porzione di muro - pure StarTrek c'è, guarda questo, sembra Spok pari pari, con le orecchie appuntite! -
L'essere in questione tendeva un arco intimorendo un mostro dalla faccia suina che trasaliva impaurito.
- Ma dove ha buttato la mia roba? - si ricordò dello spettacolo improvvisamente - se mi ha rovinato il pupazzo mando a quel paese lui e quel 'furbone' di suo padre! -
Guardò in terra e vide, oltre alla cassa mezza aperta delle candele un bauletto coperto di polvere. Lo aprì e vide che c'erano dei vestiti: una calzamaglia, un mantello coi margini ricamati, una maglia.
Tutto sommato erano ben conservati, anzi, guardandoli con attenzione erano puliti, le parti in metallo rilucevano, e le stoffe, di colore verde, erano brillanti ed emanavano un piacevole odore di lavanda.
Non erano poi tanto male per il suo spettacolo, pensando alle battute ed alla figura che avrebbe fatto con quei vestiti gli fece balenare un sorriso raggiante.
- Sta a vedere! - bisbigliò - se devo fare il giullare lo faccio bene! Prenderò in giro quel pirlino! Ho già le battute pronte! Almeno questa soddisfazione, in questo giorno del cavolo, non me la toglie nessuno! Al diavolo i soldi! -
Si spogliò in fretta e si indossò i vestiti, con ai piedi le scarpe da ginnastica. Era vermanete ridicolo e l'ilarità che avrebbe provocato sarebbe stato il prologo per la sua stoccata finale al damerino.
Si sentiva comodo in quegli indumenti e l'odore intenso di lavanda gli calmò dopo poco lo spirito bollente.
- Vediamo di uscire di qui - disse a se stesso.
Salì le scale in fretta. Si trovò davanti alla porta e vide che una parte del telaio in alto era spostata, come se il muro avesse ceduto e impedisse di fatto l'apertura della porta. Forse non era stato 'lui' a fargli qualche dispetto ed era solo un cedimento del telaio.
Sulle prime non si preoccupò visto che il legno doveva essere ormai marcio e tarlato. Un paio di colpi ben assestati avrebbero facilmente spaccato i pannelli centrali.
Provò con i pugni ma stranamente il legno che all'entrata sembrava ormai consunto ora era duro come ferro e rispondeva ad ogni colpo con rumore pieno.
Scese e andò a prendere il piccolo baule, per usarlo come ariete, ma non riuscì neanche a spostarlo di un centimetro, sembrava fatto di piombo, eppure le pareti non erano che di mezzo centimetro.
Stanco dopo un ennesimo tentativo di spostare il baule si decise a salire per gridare aiuto.
Appena mise il piede sul primo scalino ebbe una strana senzazione, come se qualcuno dietro di se lo avvertisse di un imminente pericolo. Si girò di scatto e non vide nessuno.
- Ora mi prende pure la paura! - rimuginò.
Di fronte al primo scalino di legno sentì il rumore dei propri passi a vuoto, e guardando attentamente nella polvere vide un gancio.
- Una botola! - pensò - ci manca solo che si apra e finisca chissà dove! -
Fece un passo indietro e sentì il pavimento duro, prese lo slancio e saltò sul terzo gradino.
Mai fece cosa più sbagliata: il gradino di legno cedette e Gigi cadde con il sedere vicinissimo al gancio della botola.
- Ecco, ci mancava pure questo! - Gigi non sapeva più che pesci prendere, non gliene andava bene una - e mi è andata pure bene, se finivo con questo coso nel culo, era bello che impalato! -
Sorrise, ormai era una comica continua, ora si aspettava che qualcuno uscisse da qualche parete nascosta e gli dicesse: - Benvenuto! Sei su Candid Camera! -
Fece per rialzarsi, aiutandosi col gancio, senza accorgersi che quest'ultimo ruotava su se stesso.
Improvvisamente la botola si aprì girando su un cardine centrale e Gigi finì al piano inferiore con un grosso tonfo.
- Ahia! - imprecò, era carponi nella polvere, la caduta era avvenuta da molto in alto ma non sentiva alcun dolore, era come se avesse attraversato una sottile pellicola che lo aveva trattenuto. Si alzò guardando in alto.
Non aveva la candela e l'immediato buio lo bloccò impaurito.
- Ma porca miseria! - pensò - i cerini li ho nei pantaloni! -
A mano a mano che gli occhi si abituavano all'oscurità si rese conto che si trovava in un condotto con le pareti stranamente squadrate che andava in due direzioni. Da una parte veniva una debole fonte di luce mentre dall'altra vi era il buio più completo.
Da nessuna parte proveniva alcun suono. Pensava di essere sotto il manto stradale di qualche metro e sperava almeno di sentire il passaggio delle macchine, i clacson o qualsiasi indicazione della vita soprastante, ma non sentiva nulla di tutto questo.
Il cuore gli incominciò a battere forte. Era proprio in un bel guaio.
La botola che si intravedeva era molto in alto, almeno cinque metri, ed era impossibile raggiungerla.
Si incamminò, toccando le pareti, verso la fonte di luce.
Dopo una leggera curva ed una ventina di metri incontrò una porta in pietra liscia, con una sottile apertura in alto, alta almeno tre metri e larga altrettanto. Non vi erano serrature apparenti. Provò ad aprirla spingendola. Niente, non si mosse.
Sulle battute laterali c'erano incisi strani simboli. Il più strano sulla battuta di destra era un drago con due occhi stranamente infossati.
- Ecco ci mancava pure questo! - imprecò tra se e se e, guardando la strana immagine imprecò - Ma per la miseria, drago del cappero! -
Fece il gesto di infilare due dita negli occhi del drago e rimase a bocca aperta. Le due dita erano entrate facendo muovere gli occhi all'interno. Era forse la chiave del meccanismo di apertura?
Provò a spingere la porta ma nulla. Capì che c'era qualcos'altro da spostare per sbloccare la serratura segreta.
Guardò attentamente la battuta di sinistra e vide che, simmetricamente alla faccia del drago, dall'altra parte sulla sinistra c'era un grosso toro impennato. Aveva le corna ricurve che sporgevano formando come una maniglia. Provò a tirarle e come per magia si mossero con un click verso l'esterno.
Riprovò ancora ad aprire la porta ma non sembrava cedere di millimetro.
- Ma porc... sta a vedere che uno per aprire sta cacchio di porta deve da una parte tirare e dall'altra spingere. -
Rimuginò sul fatto che non poteva fisicamente usare le proprie braccia quando all'improvviso sentì dei rumori dall'altra parte, era un clacson di un camion, con tanto di urla:- Aooooo, ma te voi sbrigà ... te possinoooo! -
Era ormai vicino alla superficie, si alzò e incominciò a gridare - Heiiii sono quaaa! aiutooooooo! sono qua sotto!! -
Ma per tutta risposta sentì solo il rimando di un altro clacson con tanto di impropreri: - Què Pirlun! Sbrighes che gò da lavurà! -
Gigi si sedette pensando al da farsi, dopodutto non doveva essere molto lontano dalla superficie, visto che sentiva le voci vicine, e che sembravano ad un tratto prendere vita: - Aeee! Quagliò! U' Motorino te lo spacco in tu' testaaa! -
Erano tutti insulti provenienti da un ingorgo, bello grande, che si svolgeva come a prenderlo in giro: centinaia di persone in alto ammucchiate e insultanti fra loro.
- Ma .... - Gigi incominciò a riflettere - sembra quasi un ingorgo in piena mattinata, com'è possibile, sono arrivato per lo spettacolo verso le dieci di sera ... non è possbile, ma che ore sono? -
Ormai aveva perso il conto del tempo e la luce che veniva dall'alto, sempre uguale, non lo aiutava a decifrare il cambiamento temporale sulla superficie esterna.
Appoggiato con la schiena alla porta si guardò la calzamaglia, resistente, elastica, aderente ... quasi perfetta se non fosse stata un po' lunga.
- Ecco la soluzione - mormorò sorridento Gigi - basta che un capo lo lego alle corna eppoi metto le dita negli occhi del drago ... dovrebbe funzionare. -
Difatti, levati i calzoni e legate le corna con essi si accorse che arrivava agevolmente agli occhi. Tirò contemporaneamente i calzoni e infilò le dita negli occhi. Questa volta il click fu sonoro e inequivocabile: ce l'aveva fatta! In mutande e scarpe da ginnastica stava per spingere la porta quando si guardò intorno imbarazzato - E se poi mi trovo in mezzo al traffico così? Mbà ... tanto figura di merda per figura di merda ... mettiamoci la calzamaglia, almeno fuori sentirò meno freddo! -
Si rivestì, riprese le forze e si gettò sulla porta con una foga indescrivibile - Se finisco in mezzo a quella gente, l'unico modo di 'salvarmi' è correre come un matto con la speranza che non mi fermi qualche vigile ... -
La porta si aprì lentamente e Gigi, come ebbe spostato la porta sufficientemente per passare, la oltrepassò.
- Ecco ... altra sorpresa - si guardò in giro e imprecando sottovoce, ormai incominciava ad aver fame, sete e sonno tutto insieme.
Era in una strana stanza, quadrata, grande circa una decina di metri quadrati con il pavimento liscio, come appena levigato, fatto di marmo nero e bianco a formare una scacchiera. Il soffitto emanava una luce chiara soffusa. Da una lato della parete un buco di venti centimetri di diametro e proveniente da chissà quale distanza portava aria e le voci di 'sopra':
- Alò , Artorna al rench! - gridava una signora alquanto inviperita, in mezzo ad una confusione indescrivibile di clacson e sgommate.
Gigi si incamminò verso l'apertura per cercare di capire qualcosa in più, ma arrivato al centro della stanza i suoi passi risuonarono vuoti.
- O cacchio, non mi dire, un'altra botola ... - non ebbe il tempo di formulare nella sua mente questo pensiero che il pavimento si aprì sotto di lui.
Questa volta il 'volo' durò un tempo indefinito, fra il susseguirsi di emozioni, la fame e la paura Gigi svenne.
Si risvegliò sul pavimento al centro di una stanza, di fronte a lui un caminetto in cui la legna ardeva viva e scoppientante.
Il pavimento, fatto di tavole di legno ben lucidate, rifletteva l'arredamento spartano che lo circodava, perlopiù fatto di mensole attaccate ai muri con sopra vari oggetti.
Uno specchio appoggiato ad una mensola attrasse il suo sguardo. Si avvicinò per pronunciare l'ormai scontata frase: - Ma che bella faccia da pirla che hai! - quando, con un sobbalzo, si rese conto della scoperta. Il suo viso non era il suo. O meglio, aveva subito una trasformazione. I capelli erano diventati lunghi, lisci e neri come la pece, gli occhi erano anch'essi neri e la fisionomia della faccia era completamente cambiata, le orecchie allungate e appuntite sembravano appena uscite dal make-up di qualche sapiente esperto costumista cinematografico, ma erano vere, tremendamente vere!
Nonostante avesse perso gli occhiali la sua vista era perfetta, anzi riusciva a vedere in dettaglio cose minuscole, perfino le particelle di polvere sul'altro lato della stanza, seppure poco illuminata.
- Non ci posso credere, ma che cavolo mi è successo? - continuò a ripetersi per almeno un quarto d'ora, prima che la pressante necessità di mettere qualcosa sotto i denti incominciò a farsi sentire con un lungo e doloroso brontolio della pancia.
La stanza non aveva finestre, solo una porta in legno dava in una direzione ignota.
Dall'altra parte della stanza, su un leggio c'era un libro mezzo aperto. Si avvicinò e vide che le lettere scritte in chissà quale linguaggio cambiavano a mano a mano che cercava di decifrarlo, rendendosi chiara e comprensibile: - Benvenuto in questo mondo, prima di poter godere appieno di questa incantevole entità cosmica, hai scelto la tua razza, sei elfo! -
- Ma chi cacchio l'ha scelto? - brontolò - Io mica ho scelto nulla! Ma tu guarda che pasticcio! Elfo che vol dì? -
Si guardò il corpo, la forma della propria pancetta non era andata via, ma nell'insieme c'era qualcosa di differente, si sentiva più pronto, più forte, più agile, come se qualcuno gli avesse obbligato a fare un corso accelerato di atletica.
Il libro continuava: - Adesso dovrai affrontare delle semplici prove, imparare l'arte del combattimento uccidendo mostri e, vista la tua classe, forester, imparerai presto a orientarti in qualsiasi situazione. -
- Forester? - Gigi incominciò a grattarsi la testa insistentemente, ma non trovando la solita capigliatura smise subito turbato. - Uffa, ma in che pasticcio mi sono infilato! -
- Ho fame dannazione! - si portò la mano alla bocca dello stomaco. Guardò in lungo ed in largo tutta la stanza ma non c'era proprio niente!
Si decise ad uscire e vide fuori dalla porta, in un corridoio malamente illuminato, un signore con strani vesti che meditava in piedi e parlava con tono indecifrabile strane frasi incomprensibili.
Si avvicinò con cautela, mentre il tizio la smise di meditare e cominciò a guardarlo incuriosito.
- Emmmm mi scusi, io ... insomma, mi può dire dove sono? E magari dove posso trovare un bar? -
Per tutta risposta lo strano tipo, alto almeno due metri, con dei vestiti ricamati e lunghi, una faccia enigmatica da cui usciva un lungo e contorto naso aquilino, lo guardò con aria seria e rispose - Telik Zegram? Uoi Thu Numo!? -
- Ehh? come? -
- Uoi Thu Numo?! - gli rispose in maniera imperativa.
- Bar, ristorante, restaurant, ho fame! Capisci? - incominciò Gigi a indicare la bocca dello stomaco e portandosi ripetutamente la mano destra alla bocca - Fame! Ho fame, pranzo, lunch, dinner insomma! E' possibile che non capisci che ho fameee?! -
Cercò nella sua mente tutte le parole che conosceva che avevano a che fare con il mangiare, mimò di seguito un panino, una pizza, un pollo spennato e messo arrosto ... incominciò a dire tutti i vocaboli stranieri che conosceva, perlopiù storpiati, che avevano a che fare con il mettere sotto i denti qualcosa.
- Ma per la miseria - era ormai senza speranze - E' possibile? Pranzo ... cena ... dinner ... kijio ... -
Lo straniero lo guardò alzando un sopracciglio - Kijio? Thu Numo? -
- Kijio eee a ... ettepareva che parlava solo in Suawli ... e chi cacchio lo conosce 'sto linguaggio? - Gigi incominciò a riprendere speranza mentre i crampi allo stomaco si faceva più frequenti ed intensi.
- Sì fame ... pranzo ... cena ... devo fare dinner ... kijio ... -
- Bene, basta, ora che hai parlato abbastanza ho capito il tuo linguaggio, giovane elfo - gli rispose con greve accento lo straniero - Dunque, ti chiami Kijio eh? Bene bene, allora stai pronto alle prove che dovrai affrontare! -
- Ma come kijio? No no quello non è il mio nome. Il mio nome è ... - non fece in tempo a finire la frase che l'uomo lo interruppe con un segno imperativo della mano: - Vai! Uccidi i mostri nelle celle che troverai e vestiti degnamente, levati se non altro quelle ridicole cose hai piedi! -
- Ma sono le mie scarpe da ginnastica! Ho speso quasi dieci EURI per comprarle ... dici poco! Eppoi io HO FAME! - nonostante la figura imponente Gigi (ormai Kijio ...) era sul punto di saltargli addosso e prendere a cazzotti il naso acquilino - Ma dove sono finito? Perché mi trovo qui! Eppoi ... dove si mangia da queste parti? -
- Calma, calma, troverai tutte le risposte facendo quello che ti dico! -
- Sto diventando scemo! - mormorò sottovoce - ma tu guarda un po' dove sono finito e con che gente devo avere a che fare! -
- Forza Kijio, la tua strada è lunga! - aggiunse bonariamente l'uomo - Vai! -
- E' un incubo! - brontolò ad alta voce Kijio, ormai non sapeva se piangere o imprecare o fare chissà cosa - ma 'sta cosa ... non poteva capitare al tafano? -








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