Passeggiando nella cittadina di

Silmaril
I Racconti

La luna blu

di
Elsewin


Il C'Era Una Volta era silenzioso, una volta tanto. Nessuno sedeva ai tavoli e il barista era sparito dietro il banco per fare chissà cosa. Ero appena tornata da un'escursione sulle Colline e mi stavo riposando davanti ad una grossa tazza di the caldo e ad un pacchetto di biscotti di Solace. Improvvisamente entrò una donna dall'espressione triste. Si fece dare un boccale di qualcosa di forte (il barista era nel frattempo riemerso dal bancone) e inaspettatamente mi si sedette a fianco. Era molto bella, ma sembrava sopraffatta da un grande dolore. Vestiva di blu e aveva una stupenda spada allacciata dietro la schiena. Svuotò il bicchiere e cominciò a parlarmi con voce sommessa, come se raccontasse la sua storia al tavolo che aveva davanti.

"Mi chiamo Nuawi. Sì, questo è il nome con cui sono stata chiamata, ma molte persone mi conoscono con il nome della mia spada, la Luna Blu. Sono un'umana, di una grande città del Nord. Mio padre era un mago e mia madre una guerriera, la nostra famiglia era agiata e crebbi istruita da un famoso maestro elfo, di cui non ricordo più il nome. La mia era una vita felice, tranquilla.
Avrò avuto forse diciannove anni quando, una mattina, mi recai per la prima volta nel Tempio. Mia madre avrebbe voluto fare di me una guerriera, e avrei dovuto entrare nell'Ordine del Tempio, dove anche lei aveva prestato servizio. Quando ero piccola mi diceva sempre: Nuawi, ricorda che la spada è l'unica cosa che ti rimane, quando tutto e tutti ti abbandonano. Così entrai nelle Sacre Porte e cercai con lo sguardo un sacerdote. Fui come magnetizzata, attirata contro la mia volontà in un angolo scuro. Un uomo con una pesante armatura grigia mi squadrò da capo a piedi, facendomi arrossire per la lunghezza del suo esame.
- Cosa viene a fare qui una fanciulla che ancora non ha superato la maggiore età?
Glielo dissi, tenendo gli occhi fissi sul suo elmo e cercando di mettere decisione nella mia voce. Sorrise. Tutto avrei pensato di vedere sul suo viso, ma un sorriso così non lo credevo possibile sui lineamenti come intagliati nella pietra. Fu come veder nascere una stella.
Seppi poi che si chiamava Wolmer, e che sarebbe stato il mio maestro di guerra.
Per entrare nell'Ordine avrei dovuto superare la Prova del Sogno. Era un rito misterioso, mi dissero che avrei dovuto stare molte notti e molti giorni in una sala, digiuna, aspettando un sogno che decidesse il mio titolo.
Io sognavo spesso, di solito, ma passarono molte albe prima che il mio sogno si manifestasse. Sognai di essere nel salone della mia casa, circondata da persone senza volto. Dovevo sposarmi, ma il mio promesso non arrivava e molti davano la colpa a me, guardandomi male. Tentavo di uscire, convinta che ci fosse un errore, che non ero io la sposa, ma la folla mi impediva di trovare il portone. Poi finalmente arrivava lo sposo, vestito di nero con una maschera sul volto, e la cerimonia aveva inizio. Improvvisamente, eravamo già marito e moglie, la maschera diventava come liquida e io mi trovavo davanti ad un teschio vuoto, sola in mezzo alla sala. Il soffitto si apriva, d'improvviso, e una sfera blu scendeva sul mio viso, accecandomi di fresca luce. Un raggio mi colpiva e io mi aggrappavo ad esso, salendo verso la notte lontana dallo scheletro. Poi il raggio diventava una spada e io venivo portata verso l'alto, aggrappata all'elsa.
La mattina il Sacerdote dell'Ordine raccolse il mio racconto e mi parlò dei grandi poteri della Luna Blu che avevo sognato. Mi fece avvicinare ad un cofano e lo aprì. Dalle onde morbide del velluto emerse una spada. Era l'arma più bella che potessi immaginare: la lunga lama, a forma di foglia, era istoriata con rune elfiche e scintillava dolcemente; l'impugnatura era scura, solida e lavorata con cura, in un pezzo unico con la lama. All'estremità c'era una grande pietra. La Luna Blu.
- Questa spada è della tua famiglia, da generazione in generazione. Tua madre la usò e tuo nonno e tutti i tuoi antenati. Ora io l'ho in custodia, e sarà tua quando avrai finito l'addestramento.
Presi in mano la spada: era come se vibrasse, come se sentissi qualcosa cantare nel freddo metallo della lama, che si trasmetteva al mio cuore. Quando un giorno troverai una spada che ti faccia cantare il cuore, Elfa, capirai che è la tua e che lo è sempre stata.
Cominciò così il mio lavoro sul mio corpo e sulla mia mente. Wolmer mi era sempre a fianco e cominciavo a sentirlo più vicino di un maestro. Forse era il modo in cui mi guardava, o come stringeva la mia mano quando mi guidava con la spada, o l'espressione stupita della prima volta che mi vide in abiti eleganti. Ma ero felice al suo fianco, mi faceva sentire protetta e sicura. Conquistò il mio cuore con dolci silenzi e piccole attenzioni, restando sempre al mio fianco e proteggendomi dagli attacchi cattivi dei compagni di addestramento. Mi prendeva la mano ed io ero felice. Non mi sfiorò mai con qualcosa di più che uno sguardo, eppure era un rude Guerriero.
La sera del mio ventireesimo compleanno mi portò a vedere la città dalla torre del Tempio e sotto il cielo carico di stelle chiese la mia mano.
Abbandonai l'Ordine (una donna sposata non può rimanervi) quando ormai mancavano pochi mesi alla fine del mio addestramento e andai a vivere con lui nella sua casa. Ero la sua prima moglie e mi giurò che non ne avrebbe avute altre.
La Luna Blu era dimenticata e mia madre era felice per la mia gioia. Mio padre era pensieroso, ma non volle mai dirmi se davvero aveva visto il mio futuro nel suo Specchio Magico.
Quando rimasi incinta, Wolmer mi fece davvero sentire come la più bella e perfetta delle donne ed era pieno di stupore nel sentire la vita che nasceva da noi. Posava la mano sul mio grembo e stava ore immobile, aspettando di avvertire anche solo un piccolo fremito del nostro piccolo. Giurava di sentire il suo cuore battere e io dicevo di non credergli, e gli tiravo un cuscino. Non ero mai stata così bene, era come se il mondo fosse perfetto. Lui continuava a lavorare come istruttore al Tempio e io cucivo piccoli abiti aspettando che il nostro piccolo nascesse. La sera accendevo il fuoco e ci addormentavamo mano nella mano.
Poi una notte cominciai ad avvertire dolori lancinanti al ventre. Sapevo che mancava ancora una luna prima che si compisse il tempo ma non mi preoccupai: molti bimbi hanno fretta di venire al mondo. Mandai Wolmer a chiamare la levatrice e lo pregai di non assistere al parto perché lo conoscevo bene: era un prode guerriero, ma su alcune cose diventava timido e timoroso come un bambino.
Non ti parlerò, piccola Elfa, dei dolori di quelle ore, ma finalmente il mio bambino vide la luce del pomeriggio. Era un maschio, come aveva predetto la madre di mio marito guardando la forma del pancione. Avrei dovuto aspettare un mese prima di dargli un nome. Di questo mese, mio marito avrebbe passato la metà dei giorni solo a pensare a come chiamarlo e l'altra metà a convincere il Sacerdote della bellezza di quel nome. Così voleva la tradizione, lui avrebbe dovuto inventare un nome nuovo.
Era bello, quel raggio di sole arrivato per caso in me e finalmente tornato alla luce. Aveva mani minuscole e grandi occhi pallidi, che si muovevano curiosi da una parte all'altra cercando il mio seno e il mio viso.
Finalmente il mese passò e portammo il nostro bambino al Tempio. Il Sacerdote lo guardò profondamente negli occhi e mormorò sommessamente:
- Bentornato su questa terra, bimbo.
Poi sorrise con fare misterioso e alzò lo sguardo verso Wolmer.
- Non è la prima volta che viene qui.
Il nome che avevamo scelto era Silann, mio marito aveva studiato un po' di elfico e io ero felice che il mio bambino si chiamasse Dono Scintillante.
I giorni passavano lenti, tra pianti e sorrisi, pappe e pannolini. Silann diventava più forte e cercava di afferrare gli oggetti che gli porgevo, era una creatura piena di luce e la sua presenza rendeva la nostra abitazione una vera casa.
Poi non so cosa successe. Una mattina mi alzai prima di lui, era molto preciso con l'ora della pappa. Ma non riuscii a svegliarlo. Il panico si impossessò della mia mente, lo scossi e lo chiamai urlando ma le sue piccole dita erano già fredde. Inutilmente i curatori si affannarono nel cercare di riportarlo in vita, la sua piccola anima era già tornata dal luogo di luce da cui proveniva.
Il mio bambino...
Per nove mesi era cresciuto dentro di me, senza che io ne potessi vedere il volto, le mani. Ma l'avevo sentito abitare il mio grembo con forza e dolcezza, poi era nato prima del tempo, come se avesse fretta di vedere la luce del sole e gli occhi della sua mamma. E dopo due mesi mi lasciava sola, abbandonata nel vuoto che aveva creato. Elfa, un figlio ti rende madre per sempre, anche quando il fato crudele lo strappa alle tue braccia e la tua casa resta silenziosa.
Cominciai a pensare dove avevo sbagliato, maledissi me stessa per non essermi potuta alzare prima, per non aver impedito che si stancasse così presto della vita. Il mio bambino... Il mio piccolo bimbo era arrivato e andato via, il mio Silann dagli occhi dolci e grigi. La mia mente, il mio corpo, tutto di me si rifiutava di accettare. Ah, piccola elfa, mio figlio era morto e io ero sola!
Wolmer era scuro in volto e taciturno, ma questo io posso solo immaginarlo perché in quei giorni io non riuscivo a pensare altro che al mio dolore.
Ero seduta nella mia poltrona preferita, senza avere più lacrime. Vidi mio marito entrare, con lo sguardo tetro. Dietro di lui veniva una donna, che non avevo mai visto prima. Non ci scambiammo una parola, forse nemmeno un gesto, ma negli occhi di Wolmer potei leggere tutto: la sua decisione di dare a me la colpa della morte di nostro figlio, la rabbia, la vendetta verso la madre cattiva, la sua nuova moglie, la speranza che io accettassi la responsabilità piena di quello che era successo.
Assurdamente fu questo a scuotermi dai sensi di colpa: il senso di ingiustizia. Per proteggermi dalle sue silenziose accuse mi risvegliai dal doloroso letargo e riconobbi di aver fatto tutto il possibile per Silann, tutto quello che una buona madre deve fare. La rabbia non arrivò mai, o forse fu così rapida che non lasciò tracce nel mio cuore distrutto. Uscii silenziosamente di casa, non avrei potuto sopportare la seconda moglie di mio marito, salutai per l'ultima volta la culla fredda di mio figlio e mi avviai al Tempio. Ma tu non credere, ingenua, che sia stato facile.
Sensi di colpa e lacerante dolore ancora oggi mi tormentano l'animo e la mente, e non sono mai del tutto sicura che non avrei potuto evitare la morte del mio bambino. Ma quella sera l'aria sapeva di umido e i miei occhi non avevano più lacrime per spiegare. Il sacerdote mi guardò e mi porse la Luna Blu.
Il canto della spada divenne un'ode funebre nel mio cuore e poi una dolce melodia piena di ricordi. Mia madre la cantava quando io ero malata o triste, ed era un canto elfico di cui non sapevo più le parole. Ma ogni nota era una goccia di rugiada pura sul mio dolore, acqua che leniva e consolava eppure rendeva ancora più privo di speranza il mio senso di vuoto. Nuawi, ricorda che la spada è l'unica cosa che ti rimane, quando tutto e tutti ti abbandonano.
Sorrisi e capii allora che il dolore non mi avrebbe mai lasciato e che era giusto che fosse così. Sai, si può imparare molto dalla sofferenza, se ci si abbandona ad essa dolcemente.
La mia spada la legai dietro la schiena e cominciai a camminare verso il punto più lontano che i miei occhi potevano raggiungere.
Ci vuole coraggio a voltare pagina, amica di questa sera, e io ho deciso di avere quel coraggio, anche se è impossibile dimenticare le pagine già vissute. Il mio viaggio è cominciato e io sono pronta. Silann resterà per l'eternità mio figlio e io sarò la mamma di un angelo.
La mia strada continua e io camminerò fino a quando ne sarò capace, con il mio dolce e gravoso fardello di dolore ed una spada che mi consoli quando tutto intorno a me sembra vuoto. Perché il potere della Luna Blu è grande e misterioso e io la sento cantare una canzone elfica nelle più profonde fibre del mio cuore".

La donna si alzò, con un pallido sorriso e l'espressione più dolcemente rassegnata cha io abbia mai potuto vedere. Forza e debolezza avevano abitato il suo viso quella sera, ma la sua storia aveva aperto il mio cuore. Non dimenticherò la coraggiosa Nuawi, come non potrò dimenticare la sua bellissima spada, così unite e così simili. Se un giorno tornerà le potrò raccontare di ciò che quella sera non ebbi il tempo di dirle, tanto veloce e silenziosa fu la sua partenza.
Che fosse un sogno, una visione o una persona vera io non lo so, ma la sua storia mi parve degna di essere narrata.







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