Passeggiando nella cittadina di

Silmaril
I Racconti

Pennas Luharion
La vera storia di Luharion Caranfinn
(Seconda parte)

di
Luharion


Continuavo a cavalcare a tutta velocità su quell'erba verde e piena di rugiada e sentivo che avrei potuto continuare così per un tempo interminabile, ma il sole ormai aveva percorso più della metà del cielo e quelle che una volta erano le bianche mura di Amrûn parevano ancora ben lontane. Continuai a lungo, ma quando il sole scomparve dietro le montagne orientali decisi di fermarmi. Fermarmi in mezzo a quella pianura non mi sembrava una scelta felice, ma ancora meno lo era correre al buio in mezzo a quelle terre con la possibilità di essere assaliti da Orchetti, Esterling o ancora peggio da qualche altre creatura del male. Nella pianura non c'era neanche un sasso dietro cui nascondersi e, benché riluttante, fui costretto a mettere l'accampamento nel mezzo del nulla più assoluto. Mangiai qualcosa controvoglia e, assalito da mille pensieri, decisi di dormire un po'. Ma nella notte i pensieri non terminarono...

"Al di là dell'ampia finestra del palazzo la grande verde pianura è piena di Orchetti, Esterling e chissà quale altro servitore di Melkor, eppure là in mezzo c'è qualcuno che conosco. Oh no! Non può essere lei! Ma come è possibile?!"
Questi sono i pensieri di Luharion Caranfinn, Primo Cavaliere di Amrûn, mentre davanti a lui le candide mura vengono assalite da una moltitudine di nere figure. I suoi movimenti sono rapidi, prende i pezzi della sua armatura, li indossa e quindi si dirige al fianco del letto dove poco prima era seduto e impugna la sua spada Rillach. La tiene con due mani, poi automaticamente la destra si posa sull'elsa e la sfodera un poco. Una luce accecante. Caldo sul viso...


"Ma cosa diavolo...?" Questo pensavo mentre aprivo gli occhi, ma il pensiero fu interrotto dalla vista di quei soldati, armati di tutto punto, che illuminavano la mia umile tenda con una grande torcia. Erano tre, alti e i loro capelli brillavano al riflesso delle torce. I loro visi erano dai lineamenti dolci e le loro armature risplendevano come l'alba. Cominciavo allora a capire, ma non potei dire niente che mi colpirono e caddi stordito.

La spada era ormai legata al suo fianco, intanto che il giovane Cavaliere scendeva a gran velocità le scale del bianco edificio. Alla fine delle scale si aprivano, subito alla sinistra, le ampie stalle dei Cavalieri e il suo fido destriero era lì che lo aspettava, al contrario di lui, tranquillo. Sarebbe stata la sua prima cavalcata al fianco degli altri. Salì in fretta sul cavallo e lo spinse correndo alla piazza centrale, dove gli altri lo attendevano. Erano tutti in attesa. Il Maestro di Palazzo sembrava fremente e ne aveva tutte le ragioni. Nessuno avrebbe mai saputo quanto ancora avrebbero resistito le difese del Fiore dell'Alba. Fu in quel momento che, adorno della sua aurea armatura, scese dall'Albatorre il re e salì sul suo cavallo. Uno sguardo veloce ai cavalieri e il suo grido: "Per Amrûn! A la Pugna, a la Pugna!" Quindi i corni di Amrûn squillarono per tutta la pianura orientale, i cancelli furono aperti e la grande orda dei cavalieri fece impeto contro le enormi schiere nemiche. Veloci passano ai suoi fianchi gli ultimi palazzi, gli ampi cancelli e le grandi orde. Poi l'incontro con lei e da lì niente.

Mi svegliai di soprassalto e alquanto stordito. Cosa mai volevano dire quei sogni? Il mal di testa cominciava a farsi sentire, anche a causa della precedente botta. Gli occhi ci misero un po' ad abituarsi alla fioca luce che mi circondava, prima di mostrarmi dove fossi: in una cella. Eppure quei posti mi sembravano familiari, come se vi fossi stato in altre occasioni, anche se dall'altra parte delle sbarre. Gli ultimi ricordi affioravano ora nitidi e contradditori alle sagge e convincenti parole di Elviond. E poi lui comparve davanti a me in tutta la sua maestosità e indossando abiti regali. Eppure era lui: Elviond Awarthannen, ultimo re di Amrûn.
"Caranfinn! Finalmente posso parlarti a quattr'occhi! Anche se queste parole, sono sicuro, ti suoneranno familiari!" La sua voce era calma e tranquilla, del tutto simile a quella della visione. I lineamenti erano però più duri, segni di una certa vecchiaia. "Perché mi hai mentito?" furono le uniche parole che riuscii a dire, confuso e istupidito come non mai. Mi guardò dall'alto in basso e poi sorrise. Si volse all'Elfo al suo fianco che aprì la porta e mi aiutò ad alzarmi. Nessuno disse più nulla finché non fummo lasciati soli dopo aver percorso tutto il percorso fino alla sala reale. Mi fece sedere su una sontuosa sedia al suo fianco e quindi lui si sedette sull'ampio trono di pietra e avorio, mi guardò sorridendo e infine, sospirando, disse: "Ho dovuto mentirti per spingerti a fare questo lungo ed estenuante viaggio. E poi quello che ti ho raccontato non è del tutto falso. Tu sei, infatti, il figlio del re, ma non di questo re!" I discorsi si facevano sempre più difficili, ma fortunatamente Elviond continuò senza che fossi costretto a fare altre domande. "Un tempo, prima della grande guerra, Amrûn era una città multietnica. Uomini, Elfi, Mezz'uomini e Nani vivevano in completa armonia gli uni con gli altri. La città fu fondata dagli Elfi di stirpe Noldor che giunsero qui molti anni addietro e ben presto vi si trasferirono tutti gli autoctoni che prima di allora vivevano in piccoli villaggi. Ognuna di queste stirpi aveva un proprio re e gli Elfi, coscienziosi, decisero di accettare questi re e di unirli al loro nel governo della città. Gli Elfi erano molto più numerosi di tutti gli autoctoni messi assieme, ma mai pensarono di sottometterli. Amrûnloth divenne così la Città dei Quattro Re. I re governarono concordi e in armonia a lungo, finché il re degli uomini oltrepassò la linea di confine. - e qui la sua voce si fece più seria - Aldawine, figlio di Eorl, dichiarò (come Beren all'Ovest) il suo amore per un'Elfa: Anthulie, figlia del re degli Elfi. La notizia fu presa con gioia da tutte le stirpi che parteciparono liete al grande evento. La felicità fu grande e durò a lungo. I due ebbero anche un figlio che crebbe apprendendo tutte le arti delle due stirpi. Ma, come destino di tutti i Mezz'Elfi, gli venne chiesto di decidere a quale delle due stirpi appartenere. Egli era molto legato alla cultura degli Edain, ma da sempre aveva mostrato un attaccamento maggiore alla stirpe elfica e così decise, in accordo con i genitori, quella strada. La maggior parte degli appartenenti alle stirpi accettò con piacere questa scelta anche se avrebbe portato, alla morte di Aldawine, un Elfo a capo della fazione Umana e la fine della rappresentanza degli Edain, perché ormai vivevano tutti in completa armonia. Questa situazione spinse anche le stirpi di Nani e Mezz'uomini a dichiarare che anche loro non avrebbero più eletto dei re, lasciando così il governo agli Elfi. Purtroppo molti uomini, invidiosi degli Elfi, non accettarono questa decisione e si ribellarono alla decisione del Mezz'Elfo, i cui capelli si colorarono di rosso dopo che il padre fece uccidere a sangue freddo alcuni dei rivoltosi. I restanti contrari lasciarono Amrûnloth e si avviarono a ovest per creare una nuova città degli Uomini al di là dei Monti Orientali." Elviond si fermò per riprendere fiato e mi guardò dritto negli occhi. Se già prima ero istupidito da quei discorsi ora ero completamente sbalordito e fui quasi sul punto di svenire. Non ci voleva un genio per capire che quel Mezz'Elfo ero io, ma la maggior parte dei miei dubbi era ancora senza risposta ed Elviond pare nuovamente accorgersene, tanto che ricominciò a parlare. "Tempo dopo giunse notizia che un esercito di uomini e archetti si stava avvicinando velocemente. Aldawine intuì subito che si trattava di quegli stessi uomini esiliati che ritornavano per riprendersi quello che gli era stato tolto. Prese la fanteria e la cavalleria degli Uomini e si diresse contro al nemico. Solo pochi cavalieri tornarono e Aldawine non fu mai più visto, né il suo corpo ritrovato. Da quel giorno tu restasti sotto la mia custodia e diventasti uno dei Cavalieri degli Uomini aggregati alla cavalleria elfica. Il pericolo per Amrûn ormai si era fatto grande, Hobbit e Nani non vollero più rimanere nelle terre dell'Est e le abbandonarono: i primi per raggiungere l'Ovest e i secondi per rintanarsi nelle Montagne. Gli eserciti nemici tornarono anni dopo rinforzati e più numerosi. Gli Elfi li affrontarono valorosi, ma Amrûnloth era ormai destinata a cadere e così accadde. Minas Amrûn fu rasa al suolo e la maggior parte dei soldati cadde sul campo. Pochi ne rimasero e si ritirarono sulle montagne per poi tornare quarant'anni dopo fra le bianche mura e ricostruire un piccolo borgo sulle maceri della grande città. Fu in quel tempo che le orde nemiche mossero verso Ovest e non tornarono mai più..." Questo spiegava la maggior parte delle mie domande e i miei ricordi ormai non erano più tanto confusi e le false informazioni datemi in visione erano ormai dimenticate tanto che mai più mi chiesi il perché mi furono date. Solo una grande domanda rimaneva senza risposta. Guardai Elviond e pensai che avesse già capito cosa stessi per chiedergli, ma questa volta aspettò che gli rivolgessi la domanda. "Chi è lei, allora?" Sospirò nuovamente, il suo viso si fece più scuro e la sua voce ancora più seria. "Anthulie. - e mi guardò, quasi con fare accusatorio - Dopo la morte di tuo padre non fu più la stessa. Un giorno scappò da Amrûnloth e se ne andò a sud. La vidi anni dopo, il giorno prima della battaglia, che mi intimava di lasciare il trono agli uomini. La decisione mi fu difficile ma le dissi di no. Il giorno dopo guidava l'esercito del male contro di noi. Mi giunse notizia che aveva fatto visita anche a te e ti aveva minacciato di morte. Fu questo che mi spinse a ingaggiare guerra." Ancora una volta sospirò e mi guardò. Questa volta il suo sguardo era più amichevole, ma coperto da un velo di tristezza. Anche i miei occhi ormai erano lucidi. Ero sul punto di piangere quando nella stanza entrò un giovane Elfo imponenti con capelli color dell'oro. Fece un piccolo inchino e ci si avvicinò. Elviond si alzò e, quando gli fu vicino, lo abbracciò. Poi i due guardarono verso di me che mi ero alzato dalla sedia. "Lui è Thorin, - disse Elviond - mio figlio." Un piccolo inchino e una stretta di mano, poi il giovane principe mi guardò e disse, con un velo di nostalgia: "Ha gli stessi occhi di Anthulie." Poi guardò nuovamente il padre e disse: "È ora." Elviond si avvicinò a me, mi abbracciò come fece anni prima, quando mi accettò come figlio adottivo, e se ne andò. Guardai Thorin sbalordito, ma lui non disse niente e mi afferrò per il braccio accompagnandomi verso l'uscita della sala. Mentre uscivo sentii il re dire, rivolto a me e al figlio, nell'alta lingua Noldor: "A laia te, laia te!" Thorin mi accompagnò in silenzio fino alle stalle. La strada era familiare, come la maggior parte di quei luoghi che passavo controvoglia, ma la stretta di Thorin era forte e contrastava il mio desiderio di restare per chiedere risposte alle mie molte domande. Aspettò che montassi a cavallo poi parlò: "Mi ha fatto piacere rivederti Luharion. Spero che tornerai qualche volta qui, in mezzo a noi. In mezzo alla tua gente. Mi dispiace che tu parta, ma se non andrai adesso è probabile che non te ne andrai più." Il cielo si stava facendo scuro e Thorin guardò verso Est, poi riprese. "Si dice che chi vede per due volte sorgere il sole dal mare non può più abbandonare questo luogo. Penso che sia vero. Fai buon viaggio." Quindi mi guardò dritto negli occhi e, nell'alta lingua Noldor, mi disse "Nai hiruvalyë Valimar!" e se ne andò. Ora capivo perché mi portarono lì quasi a notte inoltrata. Piuttosto riluttante guardai Thorin che se ne andava e gli sorrisi, spronai il cavallo e attraversai i ruderi della città. Gli ampi cancelli si aprirono al mio passaggio e dopo aver galoppato a lungo, mi voltai e, sul bianco palazzo, vidi sventolare la grande bandiera bianca col sole che sorge sulla foglia di edera: il simbolo del reame di Amrûn.
Cavalcai giorni e notti, oltrepassai il mare di Rûn, Boscoatro, le Montagne Grigie e giunsi a Imladris. Lì mi fermai e quella sera, nelle bisacce del mio cavallo trovai due sorprese. La bandiera di Amrûn era piegata intorno ad una spada.
La presi con due mani, poi il movimento fu come automatico e la destra si posò sull'elsa e la sfoderò un poco.
Sulla lama lucente stava scritto: Rillach, hathol valch.

(Fine)


Tornai altre volte nei mesi seguenti in quelle terre. Ormai ero tanto abituato a percorrere quelle lande desolate che il periodo di viaggio durava meno di un mese. Purtroppo potevo restare solo un giorno perché, pur avendone voglia, non potevo permettermi di restare ad Amrûnloth. Troppe cose mi restavano da fare nelle terre di Silmaril. L'ultima volta che lasciai la Biancacittà Elviond stesso mi accompagnò al cavallo, dopo avermi raccontato altre storie della mia e della sua gente. Tante cose mi erano tornate alla mente e molte altre mi furono insegnate. Quella sera gli promisi che sarei tornato l'anno dopo e che sarei rimasto più a lungo, a rischio di dover abbandonare le terre di Silmaril. Lui mi sorrise e disse: "Molte leggende nelle terre degli Elfi si rivelano vere, ma sono tutte soggiogate dalla forza di volontà dell'individuo. Awarthannen, l'Abbandonato, presi questo nome dopo che Anthuile lasciò Amrûn. E lei ne aveva viste molte di albe eppure questo non le impedì di andarsene. Mi piacerebbe averti qui per sempre, ma niente può portarti via dalla persona che ami. Va, e salutala da parte mia." Mesi erano passati senza che la vedessi e mai ne avevo parlato al re, eppure lui sapeva di lei che mi aspettava al varco delle realtà...
Cavalcai nuovamente verso Ovest e nuovamente giunsi ad Imladris. Non mi erano stati fatti altri doni, se non delle provviste, fino a quel giorno. Nuovamente trovai nelle bisacce un oggetto che non mi sarei mai aspettato. Un anello, piccolo e dorato con un piccolo sigillo: un sole nascente e una foglia di edera. Ero di nuovo un cavaliere di Amrûn.
Tornai al vortice temporale che mi avrebbe riportato a casa. Pensai una sola cosa in quel momento: Namárië...







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