a nera marea degli
Elfi Oscuri si stendeva innanzi agli occhi della milizia di Tor Ylar. Volti
cadaverici sovrastavano armature nere come i cuori dei proprietari. Gli
occhi lanciavano fiamme di gelo verso gli odiati consanguinei delle terre di
Ulthuan, ma le loro manovre sul campo erano precise e composte, come era da
aspettarsi da qualsiasi esercito elfico. Al centro dello schieramento alto
elfico si trovava uno stendardo purpureo, su cui da lontano brillavano
luminose stelle d'argento. La bandiera da guerra dei Silmael riluceva sugli
ordinati ranghi dei difensori dell'onore di Caledor, la terra dei Draghi.
Migliaia di elfi, consci di rischiare vita e anime in uno scontro contro
le più crudeli creature sulla faccia della terra. E tuttavia,
restavano a piè fermo, osservando l'inesorabile avanzata dei Druchii
verso le loro fila. A fianco di mio padre, osservai i fanti oscuri dirigersi
rapidamente verso il centro del nostro schieramento. Lo salutai,
raccomandandogli di non esporsi, ché lui era la nostra bandiera vivente.
Merthy'el Silmael annuì, e andò a prendere il comando del suo
reggimento di altezzosi principi draghi. Io, mi recai dai miei confratelli
maghi. Calydren, della scuola del fuoco e Eldryeth l'elementalista dell'acqua
mi accolsero fra di loro, ed iniziamo a unire i nostri sforzi per contrastare
la necromanzia dei nostri avversari e lanciare i gloriosi incantesimi della
Magia Suprema. La battaglia entrò presto nel suo vivo. Proietti di
energia oscura sorvolavano il campo, rinchiudendo in campi di energia negativa
oscura come la morte vittime ignare che venivano consumate fino alle ossa,
fiamme bianche si levavano a mutilare orrendamente le schiere avanzanti di
Naggaroth. Le frecce biancopiumate dei micidiali arcieri elfici trovavano
risposta in selvagge scariche di proiettili di balestra. Il baluginare delle
gemme sulle armi degli Alti Elfi si spingevano innanzi, retrocedevano, ma
non tornavano verso la città vicina. Pochi metri conquistati e ripersi,
al costo di decine di giovani vite. Vite che volavano via, ad ingrassare il
pasto dei demoni. Tuttavia, lentamente, riuscimmo a respingere il primo assalto.
Fu a quel punto che vidi lo stendardo di Tor Ylar volare sul campo diretto
al fianco dello schieramento nemico. Centinaia di Elfi Scuri vennero fatti
a pezzi dalle lance della cavalleria elfica, ma nessuno dei loro abbandonò
il proprio posto: troppo forte il loro odio, radicato nei secoli, corroborato
dalla vicinanza al Caos. D'un tratto si fermarono bruscamente. - Perché??? -
Ma non c'era tempo per le domande... la battaglia infuriava con rinnovato
vigore... Decidemmo di unire i nostri sforzi per eliminare Thlaanyed, la
necromante che stava rapidamente esaurendo le nostre forze. Formammo il
triangolo del potere. La runa di Sariour si accese, incandescente, nel cielo,
ma gli occhi della perfida non poterono vederla: la sua anima andò
a raggiungere il desco di Slaanesh... o il suo sangue la coppa di Khaine, ma
di questo poco ci importava. Era morta. Ed ora potevamo vincere. Vedendo
cadere il principale avversario, l'intera armata si slanciò,
disperatamente, contro i superstiti avversari: molti caddero, molti vennero
presi prigionieri, nessuno fuggì.
Stavano giungendo le prime ombre della sera. Le truppe rientravano in città,
e non erano raggianti per la vittoria, esultanti per la morte dei nemici. La
terra di Naggaroth non esauriva mai le proprie risorse, ma prezioso il sangue
degli Elfi che veniva versato sempre di più in razzie simili. I
prigionieri venivano condotti in lunghe catene all'interno della fortezza.
Cercai mio padre. Uno dei nobili che aveva combattuto al suo fianco mi venne
accanto, seguito da due paggi recanti un feretro e mi disse, con voce appena
velata di rimpianto per aver perso un compagno, e, soprattutto, per l'onta
di un affronto quasi personale: - Salute a te, Cleylot Silmael, Signore di
Tor Ylar. Tuo padre ha raggiunto la gloria eterna per mano di uno dei vili
servi di Khaine. Ora crediamo fosse questo lo scopo del loro attacco, più
che una semplice razzia a caccia di schiavi. Privare Caledor di un altro dei
suoi nobili. Non siamo riusciti a salvarlo. Mi spiace.- Con queste parole si
volse, si rimise l'elmo crestato sulla testa e richiamò i suoi scudieri,
pronti per rientrare alla loro città natale.
Non so quanto tempo restai lì. Un messo venne a raggiungermi.
- Signore, l'ora è tarda, la giornata è stata gloriosa ma
faticosa, e dovreste mangiare qualcosa, prima di prendere possesso, domani,
del vostro dominio.- Fece una breve pausa -...inoltre, dovreste dare disposizioni
sul trattamento dei prigionieri.-
Mi chinai, e presi la spada di famiglia dalle gelide mani di mio padre. Alzai
la testa, sfoderai la spada ed iniziai ad avviarmi verso la città.
Dissi in un soffio, gelido: - Prigionieri? Quali prigionieri? -
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