Passeggiando nella cittadina di

Silmaril
I Racconti

Araglar
l'Elfo della Luce

di
Araglar


Vagavo, vagavo perduto nelle fitte nebbie che abitavano la mia mente, perduto nell'incubo della mia esistenza, senza speranza per il futuro, e con rimpianto per il passato. Il passato era perduto, come potevo costruire il futuro? Con queste domande vagai per le terre degli uomini e degli elfi, chiedendomi infondo chi fossi, quale fosse l'identità da seguire. Com'era triste essere due persone allo stesso tempo, o meglio pretendere di esserlo; un personaggio mai cresciuto, mai conosciuto, rimasto per sempre nascosto sotto le sembianze del mio essere, l'altro falso, sviluppato sulla convenienza dei fatti, sulla nuova vita impostami, e poi levatami bruscamente dalle mani del fato. Quale di queste due ero io in realtà? Ero io Araglar l'elfo o Ilian l'umano? L'aspetto parlava chiaro, le mie sembianze erano elfiche, ma com'ero io dentro di me? Che terribile questione decidere chi dover essere... ma appunto, io non dovevo scegliere chi essere, ma scoprire chi mi sentivo veramente! Un fiume di ricordi della mia vita mi mostrava come umano, ma ciò che sentivo dentro, era inspiegabile, ed era elfico. Forse sarebbe stato meglio che non mi avessero trovato, che mi avessero lasciato a vagare nei boschi fino alla morte, gli umani; non me ne sarei neanche accorto nell'incoscienza della fanciullezza, perso nella crudeltà affascinante della natura. Invece arrivarono e mi portarono via, ho ancora il ricordo delle loro pesanti mani sul mio corpo inerte, e mi trasportarono in una casa. Com'è dolce il ricordo di quel luogo, quasi come le uniche immagini che ancora posso richiamare dell'Idrien, la terra dov'ero nato. Fui fortunato, venni allevato in una famiglia nobile del Kernar, e venni chiamato Ilian, tuttavia io ricordai sempre il mio nome e la mia natura; come posso pretendere di dimenticarli per sempre ora, che ho la possibilità di decidere chi sono? Quando nacque Horner lo vidi come un fratello, era piccolo ed indifeso, e lo amavo. Per i primi anni penso sia stato cosė anche per lui, era la mia ombra, tuttavia era un'ombra. Ahimè, crebbe arrogante e violento, e pieno di rancore verso tutti, ora penso che si vedesse oscurato dalla mia presenza. Doveva essere molto geloso di me, tutti mi volevano bene, e così un giorno, lo fece... tentò invano di uccidermi! Al solo ricordo del suo sguardo glaciale e pieno di determinazione nel momento fatale il cuore mi si ferma come se il ghiaccio lo bloccasse; quegli occhi... neri, neri come il carbone, pieni di anni di rancore e odio... come potevo immaginarlo nella mia stoltezza? Come potevo evitare che finisse in questo tragico modo? Me lo sono chiesto fino ad ora, ma ahimè non trovo risposta.
Horner fu cacciato, esiliato dalla terra dei suoi padri assieme ai suoi odi ed ai suoi rancori verso tutti, esiliato verso un mondo dove il male l'avrebbe sopraffatto, e fatto suo. Non seppi più niente di lui per lungo tempo, ma ora conosco fin troppo bene i risultati dei suoi peregrinaggi; dopotutto non fu colpa della gentile famiglia dove eravamo stati allevati, se la morte si impadronì del suo fragile e impulsivo spirito, rendendolo un guerriero dell'ombra, uno dei miei più acerrimi nemici, per il resto della sua vita.
La mia vita non poteva più essere la stessa dopo che Horner aveva tentato di uccidermi, compresi solo allora infatti che io non ero parte del suo popolo, e che forse in parte aveva ragione a pensare che gli avessi rubato tutto. Mi trovai sdoppiato tra la mia esistenza umana, e la mia natura elfica, e decisi di scoprire la realtà su di me, seguendo il mio destino, vagando per le terre e i popoli, solo, per conoscermi e decidere, e per non creare altre sofferenze alla mia famiglia adottiva, rimasta sconvolta dall'accaduto. Tuttavia dopo essere partito, iniziai a vagare nella nebbia della mia mente, senza trovare e capire esattamente chi ero... cosa mi era stato fatto? Perché era stata negata la mia identità? Vagai in cerca di risposte ed esse presto arrivarono, ridandomi pace.
Mi fermai tra gli elfi, in un paese a nord chiamato Hiriol, e combattei con loro contro gli orchi, che tentavano di sottrarre territori; fu in quel periodo gioioso e pieno di soddisfazione che sentii com'ero legato al mio popolo d'origine, e come ero legato al bene, alla sua causa... avevo colto il suo magico splendore grazie all'ardua lotta contro gli orchi, creature del male.
Dopo il lungo e faticoso soggiorno nel Nord partii per raggiungere l'Idrien, il mio paese natale, e per ricollegarmi con il mio passato, ora che avevo accertato chi ero in realtà: Araglar l'elfo della luce, servo del bene e della sua causa.
Il viaggio verso il mio paese non fu difficile, anzi, e lo affrontai con gioia e freschezza nell'animo, poi in un giorno di estate arrivai.
Desolazione e morte, questo fu quello che trovai dove doveva essere il luogo che ancora ricordavo come un paradiso; desolazione, morte e malattia. Una malattia che colpiva la terra, non le persone, lasciando un paesaggio spettrale, dove non si scorgeva nessuno, solo le rovine di città che un tempo erano state prosperose. Quanto tempo era passato? Non molto, potevo capire dai segni ancora freschi sul terreno, ma vi era stata una battaglia? Vagai come uno spettro, chiedendomi se infondo avessi sbagliato, o se quello fosse stato soltanto un incubo... un inganno intessuto per abbattermi. Le nebbie si richiusero sulla mia mente, mentre disperato cercavo un segno di vita. Scorsi un elfo, camminava svelto e a capo chino, senza essersi accorto della mia presenza; gli andai incontro e mi feci spiegare quello che era successo. L'elfo disse che era stata combattuta un'enorme, disperata, ma ancor più inaspettata battaglia, pochi giorni prima, contro le creature del male. Non si era saputo niente, erano piombate sull'Idrien come un temporale, spazzando via gli elfi, che si erano dovuti ritirare in una valle vicina, abbandonando così le loro case e le loro splendide città alla rovina. Tuttavia, pianse il giovane, le case e le città si potevano costruire, la natura si poteva sanare, ma le vite stroncate dalla dura battaglia e il duro ricordo di essa no... quelle sarebbero rimaste per sempre nei loro cuori, unite all'odio ed all'impotenza. Il giovane mi disse anche che le truppe di demoni, orchi e creature di ogni genere, erano capeggiate da un uomo, Horner il Senzaterra. Da quel momento seppi che non avrei avuto pace o felicità, se non dopo aver visto Horner strisciare davanti a me supplicandomi, supplicandomi invano. Ormai il mio un tempo amato fratellastro, era diventato il mio più acerrimo nemico; nemico del bene, nemico degli elfi che per causa mia aveva odiato.
Stranamente restai lucido e determinato, non fui colto da eccessi di collera o ira, ma mi feci accompagnare nella valle di Aradan, dove ora risiedevano i sopravvissuti tra gli elfi. Per un po' dimenticai me stesso, l'incognita delle mie parentele, tutti i problemi che mi ero posto per il mio ritorno; rimasi solo con l'odio ed il rancore che provavo, che mi ribolliva dentro, che aspettava di scappare fuori, per straripare in un eccesso di furia che mi avrebbe nascosto la ragione, e trasportato nel mondo del male stesso che odiavo, e al quale avevo giurato vendetta. Conobbi il Re degli elfi la sera stessa in cui giunsi, ma non gli prestai molta attenzione, essa era completamente rivolta a quello che vedevo, alle facce di miei simili, e probabilmente consanguinei, incupite dalla guerra, disfatte dalle vicissitudini del fato. Dissi al Re di chiamarmi Araglar, e gli raccontai brevemente la mia storia; notai in lui un'espressione seria e quasi stupita, ma non mi chiesi il motivo, non mi interessava, non mi interessava più di nulla, se non di ritrovare Horner e fargliela pagare una volta per tutte.
Il giorno seguente accadde l'inaspettato, e cambiò del tutto la mia vita: il Re Ilarsil venne da me abbracciandomi, e mi chiamò figlio... non sapevo cosa pensare, tuttavia capii immediatamente, era lui mio padre, colui che ero venuto per cercare, ma ora che lo avevo dinanzi, non sapevo cosa dirgli.
Mi spiegò che un bambino di nome Araglar era stato perduto durante il ritorno da una spedizione nel nord anni prima, e che, dopo essere stato cercato inutilmente, era stato dato per morto. Sua madre era morta di dolore, dicendo, quasi come una profezia, che un giorno sarebbe tornato per regnare sugli elfi. Il Re mi guardò dicendo che aveva sempre creduto alla profezia della moglie, con ragione, ed entrambi capimmo subito che era vero, ero io il bambino, lo capimmo dallo sguardo, da un legame invisibile che sembrava attirarci, dalla nostalgia che colpì tutti e due fino a farci piangere. Avevo ritrovato mio padre, ed era anche il Re, il grande Re Ilarsil di cui avevo sentito parlare tra gli uomini. Ero dunque di discendenza reale? I miei odi ed i miei scopi si mescolarono quindi con il rispetto e la giustizia che dovevo al popolo degli elfi, e rimasi ancor più convinto di dover ottenere vendetta contro Horner. Rimasi vicino al Re mio padre nel tempo dopo la scoperta, e durante le battaglie che seguirono per il ritorno nell'Idrien, tuttavia la mia identità non venne subito svelata, per non attirare critiche dal popolo, che dopotutto mi vedeva come un estraneo. Esso non venne recuperato del tutto, ma la parte riconquistata venne ben curata e ricostruita, e delle buone difese vennero sviluppate, per evitare altri attacchi a sorpresa. In tutto questo partecipai con grande animo, sentivo che era mio dovere, ma era un dovere che mi dava gioia e che allontanava da me rancori e odi, ma soprattutto desideri di vendetta. Col passare del tempo divenni piu popolare, e la mia identità venne svelata, diventai così Principe degli Elfi; tuttavia anelavo ormai a partire per la mia ricerca personale, la ricerca del mio odiato fratellastro e la sua distruzione. Forse anche lui mi cercava, per lo stesso motivo, non sarebbe dunque stato troppo difficile trovarlo, e lì si sarebbe deciso il destino dei due. Nella nostra battaglia avrebbe vinto il bene o il male, e il fato sapeva quale dei due doveva essere; per me l'importante era solo compiere quello che dovevo, non mi importavano le conseguenze.
Il Re mio padre regnava con forza e saggezza, ed inoltre era molto amato dal popolo, per questo, una volta ricostruita la città e rinforzate le difese, decisi di partire. Per lungo tempo infatti i demoni e gli orchi loro compagni non attaccarono, si sentiva solo parlare di scaramuccie e guerriglie in territori spesso lontani dall'Idrien. Avevo da poco iniziato a piacere al popolo, che cominciava a riconoscermi come principe, vedendo in me mio padre giovane; avevano visto i miei sforzi per integrarmi e per aiutare il popolo nella ripresa, e me ne erano grati. Era una grande soddisfazione vedere la vita ritornare quella che doveva essere, lasciandosi alle spalle il ricordo terribile della guerra e dei morti. Ormai restava solo l'impresa più importante, uccidere Horner, lo dovevo a me, lo dovevo al popolo elfo, forse lo dovevo al mondo intero. La collera che avevo dentro di me per tutto quello che era successo era ormai incontenibile, avrebbe potuto straripare improvvisamente, privandomi della ragione, corrompendomi l'animo e trasformandomi persino in quello che dovevo combattere. Decisi quindi di partire e ne parlai con mio padre, che acconsentì, tuttavia sarei partito comunque.
Partii solo con la mia spada ed il mio coraggio, tentando di ricordare le magie che avevo imparato, per renderle più efficaci. Ero un abile guerriero, e conoscevo qualche magia utile, che mi era stata insegnata tra gli elfi del nord, e anche nell'Idrien. Decisi per prima cosa di passare a trovare i miei genitori adottivi, dovevo ammettere che mi mancavano, erano stati sempre buoni e giusti con me, ero sempre stato come un figlio vero per loro, e dovevano aver sofferto molto per la mia partenza. Arrivato nei territori degli uomini, mi diressi verso la mia vecchia grande casa, tuttavia trovai soltanto macerie. Rimasi come impietrito, non mi mossi per lunghi minuti, che sembrarono ore, non dissi nulla, tuttavia una lacrima scendeva lenta dai miei occhi e mi solcava il viso indurito da una sempre più irrefrenabile collera, una collera che sentivo ardere come fuoco, una collera dalla quale non mi sarei mai più liberato. Non avevo bisogno di sapere chi era stato, lo sapevo esattamente, vedevo le immagini nella mia mente, e non so come so che erano reali. Horner era venuto con un po' di suoi aiutanti, schiavi del male, ed aveva distrutto tutto, compresi i suoi genitori... come aveva potuto? Cos'era diventato? Basta... non mi posi più quelle domande, lo sapevo benissimo cos'era, era diventato un oscuro servitore della morte che compiva le sue vendette. La prossima vittima dovevo essere io, secondo i suoi piani... o lui sarebbe stato la mia vittima. Accecato dal dolore e dalla furia irrepremibile che mi colse fuggii lontano, alla ricerca di tracce che mi aiutassero a trovarlo. Ero come posseduto, non pensavo, reagivo d'istinto. Vagai in lungo e in largo senza una meta, senza un metodo per trovare chi, o cosa cercavo, ero diventato come un animale, in preda ad una cecità interiore che mi consumava come la luce del Silmaril aveva consumato il guardiano della reggia di Melkor. Mi vedevo come dall'esterno, e non comprendevo ciò che mi succedeva. Penso di aver ucciso molte persone durante quell'eccesso di furia, uccidevo tutti gli orchi che trovavo, e anche figure vestite di nero, che mi ricordavano mio fratello, ma che forse erano poveri innocenti. Non mi rendevo conto che stavo diventando come lui, accecato dalla collera che intrappolava la vera essenza del mio spirito. Un giorno caddi da un piccolo burrone e svenni, mi ritrovai in un letto caldo, in una piccola casa. Stentavo ancora a riconoscermi, la prima cosa che feci fu tentare di fuggire come un animale, poi la vidi; era ritta davanti a me con un largo sorriso, e mi guardava con un'aria sollevata che mi fece sentire tutto il calore dell'affetto che mi mancava ormai da molto tempo. In quel momento ritornai me stesso, vidi ciò che ero diventato e piansi, piansi a lungo, e lei stette lì con me, senza parlare, ma confortandomi soltanto con la sua presenza. Era giovane e bella, ma soprattutto era radiosa e felice, mi riempiva l'animo di una sensazione colma di gioia, guarendo pian piano le ferite che la collera aveva aperto in esso. Mi disse di chiamarsi Edrien, ed io le dissi soltanto che ero Araglar, non volevo titoli nobiliari, io ero solo Araglar e un titolo non cambia niente, non cambia quello che sei in sostanza. Rimasi da Edrien per un po' di tempo e capii di amarla, non riuscivo più a partire; avevo paura che partendo per la mia missione non l'avrei più rivista, che l'avrei persa come avevo perso i miei genitori adottivi, come sembrava dovessi perdere tutto quello che mi era caro. E se Horner mi avesse trovato lì? Cosa le avrebbe fatto? Mi avrebbe tolto anche lei, ed io sarei del tutto impazzito; forse l'avrei ucciso, ma non sarei più tornato me stesso. La portai quindi con me nell'Idrien, dove sarebbe stata più al sicuro, assieme agli altri della mia famiglia. Ci sposammo alla maniera degli elfi, nell'immenso bosco, con un druido che ci unì nel matrimonio nel mezzo della natura, che era la nostra testimone. Andammo poi a vivere ad Ardanie, la nuova capitale del regno dell'Idrien, e vivemmo là per alcuni mesi.
Per me ritornò dopo non molto il problema della partenza, cominciavo a sentire un senso di colpa enorme, delle voci nella mia mente gridavano che non avevo fatto niente per vendicarle, gridavano che avevo giurato e che se non facevo niente ero spergiuro. Decisi quindi di partire per una vendetta finale e definitiva, e lasciai mia moglie sola, ma protetta nell'Idrien.
Questa volta cercai con pių lucidità, trovando tracce ed informazioni del passaggio di un uomo nero come la notte, e terribile come la morte: Horner. Sentivo che mi stavo avvicinando sempre di più, lo sentivo nelle vene e nel cuore, ed infatti lo trovai abbastanza in fretta, sembrava quasi che mi stesse aspettando. Era tutto nero, sembrava risucchiare la luce da quanto era oscuro, ma non mi faceva paura. La paura, il terrore, lo provocava a tutti gli altri... ma non a me, a me provocava solo un'enorme collera, e uno smisurato furore. Non ci furono molte parole, solo sguardi di fuoco, ma che furono più di una conversazione; quel giorno uno di noi due sarebbe morto, e la nostra triste vita di guerra si sarebbe conclusa. Fu una battaglia estenuante, nessuno dei due riusciva a superare l'altro, Horner sembrava sostenuto dalla magia nera, non sembrava perdere mai le forze, mentre io ero sostenuto dal furore covato per tutti quegli anni. D'un tratto raccolsi tutte le mie forze, le mie energie anche spirituali, e le lanciai sotto forma di magia e odio contro il mio fratellastro, che fu colpito a morte e scaraventato lontano, con uno scricchiolare di ossa. Io svenni, e mi risvegliai non so quanto tempo dopo, tutto dolorante; cosciente di avercela fatta, mi incamminai verso casa.
Durante il percorso, parlando con un elfo che veniva dalla città, venni tuttavia a sapere che la mia amata Edrien era stata massacrata da un'ombra, che veloce come il vento, in un attimo era venuta ed era sparita. Dunque quello era stato l'ultimo atto del mio fratellastro? Aveva lasciato che lo colpissi, mentre lanciava una magia su mia moglie? All'improvviso sentii di non farcela più, sentii che ero svuotato, che ogni cosa che amavo spariva, e che era destino che io fossi per sempre solo. Ero disperato e senza speranza, mi trascinavo senza meta chiedendomi se potesse esistere un modo per rincominciare daccapo, da zero, un mondo nuovo magari, nel quale ripartire e ricostruirmi la vita; un mondo dove non avrei avuto nessuno da perdere, perchè nessuno conoscevo. Scorsi qualcosa tra le foglie, nel fitto bosco che avevo di fronte a me, mi avvicinai con cautela, e scoprii una sorta di piccolo passaggio, bloccato da una porticina di legno, con su scritto a chiare lettere: Silmaril. Ricordavo le leggende dei Silmaril, tuttavia non capivo cosa fosse quella porta. Una strana forza mi attirava verso di lei, mi spingeva ad entrare ed io non potevo resisterle, non volevo resisterle... la aprii, entrai nel passaggio... la porta si chiuse alle mie spalle con un fragoroso tonfo, ed io mi trovai in una sala e capii... capii subito cos'era successo. L'avevo chiesto io, avevo voluto ripartire da zero, in un altro mondo, ed ero stato accontentato... ero in Silmaril, l'altro mondo da me implorato agli dei. La porta era probabilmente una magia che appariva soltanto a chi lo voleva veramente, ed era stato così, io l'avevo desiderato ardentemente, volevo sul serio scappare. Scoprii subito di non essere solo: Colman, il ladro gentile, mi stava fissando intensamente, pareva sapere chi ero... mi prese per mano e mi guidò per le vie di una città, Midgaard; io mi lasciai guidare volentieri, ero in pace, ero in un altro mondo come avevo chiesto, ero ripartito da zero, ma ero pur sempre io, Araglar l'elfo della luce, e la mia mente, i miei ricordi, i dolori e le gioie non erano state cancellate. Se Horner era ancora vivo, e ciò poteva essere vero, visto che non ero più sicuro di nulla, sarebbe dovuto venire lì a cercarmi... e io lo avrei accolto come si meritava, una volta per tutte.








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