Passeggiando nella cittadina di

Silmaril
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Arnan ad Lorin


Forse non vi interesserà leggere la mia storia, perché giudicata troppo lunga e quindi noiosa, ma io la scrivo comunque qui in compagnia di una buona bottiglia di torcibudella (e forse anche a causa sua), per quei pochi che vorranno ascoltare.

Fui trovato da un soldato all'età di 15 anni in un fosso, mezzo morto per la fame e gli stenti, che mi portò nell'infermeria del suo accampamento e mi curò: non ricordo molto di quei momenti, ma non dimenticherò mai il vecchio Seruin, Elfo dei boschi del Sud, il soldato che mi salvò. L'infermeria, vidi più tardi, faceva parte di un possente esercito in spostamento verso nord tra le montagne.
Si stavano mobilitando, mi venne detto, per una grande battaglia contro degli invasori nel Nord e avrebbero cercato di respingerli anche se le loro forze in confronto secondo le informazioni disponibili erano di 1 a 10.
Mi chiesero se volevo unirmi a loro. Naturalmente acconsentii, e questa fu probabilmente la scelta più importante delle mia vita: infatti scelsi la vita del guerriero, e non della magia (più incline alla mia razza); ma dopotutto non me ne lamento tutt'ora e credo di aver fatto comunque la scelta giusta.
Poi mi chiesero come mi chiamavo. E, strano, non mi ricordavo proprio. Niente, buio assoluto, come se fossi nato là in quel fosso, a 15 anni, senza un nome, senza una famiglia, senza niente. E allora lì, nell'ultimo baluardo difensivo di quel paese chiamato da tutti Gil-Menen, "Stella del Cielo", io fui chiamato Arnan ad Lorin, che tradotto dall'Antica Lingua significa "nato senza nome" (il nome era considerato una tra le cose più importanti nella vita, in quella terra: non potevi fare niente senza un nome; non un lavoro, non una votazione, niente).
Dopo alcuni giorni cominciai a girovagare per tutto l'accampamento e vedendoli mi commossi per le condizioni in cui erano ridotti, la fame, la sete, il freddo che dovevano sopportare. Era inverno quando arrivai da loro, e notai la totale mancanza di equipaggiamento: i geloni imperversavano ovunque, e gli sforzi dei pochi guaritori servivano a poco su tutta quella massa; per bere si usava l'acqua che sgorgava da fonti trovate in montagna ma che nella foga non erano state controllate, quindi ancora altri compagni morivano di malattie sconosciute, non curabili dai maghi del Sud.
La stragrande maggioranza di loro era formata da semplici contadini, calzolai, sarti, giovani... insomma, gente che di guerra non ne sapeva niente, ma che ugualmente combattevano per quel po' che possedevano.
Mi aggiunsi a coloro cui dovevo così tanto e fui addestrato da Seruin in persona assieme ad un'altra decina di giovani reclute. Con Seruin, erano circa un centinaio i veri soldati addestrati, su un esercito di migliaia: loro insegnavano i princìpi del combattimento ai nuovi (a dir la verità a me Seruin insegnò ben più dei semplici princìpi, tanto da diventare un avversario degno di lui, ma questa è un'altra storia).
Finalmente, dopo lunghi giorni di marcia, a metà primavera i nostri esploratori ci segnalarono un massiccio esercito in marcia verso di noi a circa 50 miglia. Ci accampammo e li aspettammo: non fu una lunga attesa, anzi, quando arrivarono ci presero quasi di sorpresa per la rapidità: dovevano aver viaggiato anche di notte, pensammo subito, e questo demoralizzò ancor di più le truppe, il dover combattere contro nemici capaci di marciare quasi senza sosta ed avere le forze per un attacco praticamente intatte.
Infatti quando videro quell'esercito, un settimo di noi abbandonò sconsolato i posti di combattimento e fuggì lontano: vidi un ragazzo andarsene rivolgendomi uno sguardo di tale pietà che ricordo come fosse ieri: in quegli occhi vidi un passato, presente e futuro di paura e miseria e una tale tristezza c'era in quello sguardo, che quasi me ne andai anch'io.
Il nostro era un esercito rispettabile, ma la loro era un'armata immensa: altro che rapporto 1 a 10; qui si parlava di rapporto 1 a 100, e non scherzo, senza contare che dalle informazioni giunte fino a noi erano tutti soldati esperti ed equipaggiati. E poi c'era un drago, mi pare, ma di quello si occuparono i Nani.
Dieci giorni dopo che gli esploratori erano ritornati, ci fu lo scontro: il popolo del Sud, contro quello del Nord. Vinse il Nord, gli avversari: per forza di cose; loro erano addestrati, noi che usavamo addirittura zappe; loro erano dei giganti enormi, noi eravamo a maggioranza bambini e vecchi. La durata fu comunque enorme: giorni e giorni di combattimento continuo, tanto che tutti ormai l'avevano battezzata la Battaglia senza Fine.
Con la mia destrezza mi ero guadagnato una piccola pattuglia di reclute ancor più giovani di me, che avevo istruito io stesso e di cui andavo molto fiero: era considerata una delle pattuglie migliori dell'esercito; con questa piccola pattuglia dovevo andare a colpire alle spalle dei nemici, direttamente sugli arcieri, passando sul fianco di una montagna. Andò tutto bene, fino a quando non passammo, a causa di informazioni sbagliate, dritti davanti alla loro retroguardia invece che da parte. Ora, rendetevi conto che, in venti circa, potevamo benissimo far fronte al doppio di avversari, ma lì era tutta la retroguardia: centinaia, forse migliaia di soldati pronti a combattere che si erano visti passare davanti tranquillamente una manciata di giovani Elfi. L'attacco, dopo la sorpresa iniziale, fu spietato. Ci battemmo con vigore, ma ogni nemico che uccidevamo ne comparivano altri due, e retrocedendo fino ai piedi della montagna vedemmo un sentiero che saliva verso la cima. Cercammo di arrivarci, ma per ogni metro guadagnato verso quella direzione uno di noi cadeva sotto i colpi nemici. Quando restammo solo in due, sembrò arrivasse un aiuto dal cielo: ci fu una frana, che divise noi due da una parte e gli altri dall'altra. Ma stavano arrivando, era solo questione di tempo e sarebbero riusciti a trovare un passaggio tra i macigni. Cominciammo a correre: venti metri dopo sentivamo già dei passi veloci dietro di noi. Mi guardai indietro e li vidi, tutti lì, alle nostre calcagna. Il mio compagno (penso che il mio cervello abbia cancellato il suo nome, perché proprio non lo ricordo) mi rivolse lo sguardo, annuì, e smise di correre. Mi fermai anch'io esterrefatto, guardandolo girarsi e prepararsi allo scontro. Ma prima ci guardammo un'ultima volta negli occhi, e in quello sguardo ci fu una conversazione: scappa, io non sono importante mi dicevano i suoi occhi, non posso lasciarti solo gli rispondevano i miei, ma la sua ultima occhiata fu definitiva, scappa e lasciami morire da solo.
E così fuggii, vergognandomi della mia codardia; non ero restato a difendere il mio amico e quei soldati che tanto mi avevano dato: infatti non tornai dagli altri, ma seguii quel sentiero e mi nascosi finché smisero di cercarmi e, mentre guardavo dalla cima di un monte lì vicino la fine dell'esercito glorioso, pensai, con le lacrime che scorrevano lungo le mie guance: questa è la mia ricompensa per loro, i miei unici amici, che mi avevano dato tanto e che in cambio io ripagavo così.
Vidi gli ultimi superstiti cercare di riorganizzarsi, ma nella morsa dei nemici si dispersero di nuovo; li vidi cercare di fuggire, ma furono accerchiati. Ed uccisi. Tutti. Non un solo prigioniero. Non un bambino (ne vidi molti inginocchiarsi piangendo chiedendo pietà: più tardi rividi le loro teste ancora scintillanti per le lacrime appese a lunghi pali e portati per il campo come una bandiera di vittoria), non un anziano (vecchi soldati sopravvissuti a molte guerre: non a questa), non una donna (molti avevano portato anche le loro famiglie, dato che non avevano un posto dove stare).
Seruin fu uno degli ultimi a cadere, sotto il peso di tre frecce, quando l'ultima ondata di nemici era arrivata e aveva annientato i superstiti. Morì cercando di proteggere un ragazzo in preda al panico, confortandolo fino alla fine e proteggendolo sotto il suo mantello.
Quando cominciai a cercare superstiti, sul campo di battaglia e nelle montagne attorno, scoprii di essere l'unico rimasto. All'inizio non sembrava possibile neanche a me: uno solo, su migliaia e migliaia: perché io? pensai. Perché non Seruin, perché non uno qualsiasi degli altri? A questa domanda non riuscivo a trovare risposta.
Dovetti nascondermi un altro paio di volte, quando passarono i vincitori con nuove teste impalate. Ne riconobbi una: era il ragazzo che avevo visto abbandonare il campo con gli altri prima della battaglia; aveva ancora lo stesso sguardo triste, un po' rassegnato su un'espressione di terrore. Dunque ora c'ero davvero solo io, neanche gli altri erano scampati.
Alcuni giorni più tardi cercai di seppellire qualcuno, uno qualsiasi, solo per darmi pace, quando scoprii che non potevo dato che nessun corpo era completo.
Allora partii, vagando per luoghi arcani e sconosciuti, finché giunsi in un posto strano, un villaggio ormai quasi completamente abbandonato dove solo dei vecchi vivevano, e lì il nome di Seruin era conosciuto. Mi meravigliai molto, ma mi preoccupai anche: non c'era per caso una vedova da consolare?
Ma invece, quando chiesi informazioni, mi diedero un libro contenente una storia molto interessante, ma che non c'entra con la mia e quindi non vi annoio; vi dirò solo che quel libro parlava di un ordine di cavalieri, e lessi di alcuni superstiti, in una caverna nelle montagne: ragionando, constatai che dovevano essere montagne lontane, a Sud, essendo arrivato da Nord ed avendo perlustrato tutte quelle prossime a me. Partii dunque alla ricerca di costoro, che avevano conosciuto bene Seruin.
Dopo giorni di viaggio, sempre a chiedere informazioni e senza scoraggiarmi mai per le frequenti risposte negative, mi trovai davanti ad un grande portone: l'entrata alla prima città dei nani che io avessi mai visto. Quando entrai, incontrai delle persone molto interessanti, di cui ora ne conosco ancora alcune. Lì imparai l'uso delle armi e della saggezza, della forza e della giustizia, e per molti giorni ancora vi restai, nella pace più profonda e con la consapevolezza di essere tra amici. Imparai a conoscere il significato della guerra e quello della pace, e di come tutt'e due convivessero giorno dopo giorno, ma questa è un'altra storia.
Purtroppo però dovetti partire, con altri due miei compagni, alla ricerca di qualcuno a cui tramandare i nostri insegnamenti.
In una giornata di primavera, al compiere dei miei 17 anni, arrivammo in un posto chiamato Midgaard, nei cui prossimi luoghi dimoravano molte strane creature...

Il resto lo sapete già, ma vi ho voluto narrare cos'ero e da dove venivo. Ancora oggi una lacrima mi cade, pensando alla battaglia cui assistetti, ove molti innocenti morirono, ma mi consolo pensando che il loro sacrificio non sarà dimenticato, almeno finché io sarò in vita...

Questa era la storia di Arnan ad Lorin, ultimo sopravvissuto della Battaglia senza Fine.








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