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Khailan Ombra Valorosa
Ricordi... mentre scrivo un incantesimo sulla pergamena bianca appoggiata
sul tavolo, comincio a pensare a quanto poco ho lasciato di me ai posteri. A cosa serve che
io mandi pozioni di protezione che mi sono costate giorni di lavoro alla fossa, se poi nessuno
sa che le ho fatte io? È forse inutile scrivere pergamene da lasciare per strada o in
luoghi appartati, sperando che giovani maghi diventino più saggi e potenti con il mio
aiuto, se poi Frank mi vede sempre solo al tavolo del c'era una volta a bere la mia birra?
Probabilmente è una mia scelta, penso d'un tratto. O una scelta della mia
stupidità, scopro con ira. Una fiammata mi porta alla realtà. Passo il resto
del giorno a spegnere l'incendio provocato e a riordinare il salvabile. Spossato, nel corpo e
nello spirito, dopo l'ennesima battaglia con un emissario del male, mi dirigo nel palazzo della
mia gilda, e mi adagio in una magica nuvoletta che fa da letto. Prendo dalla mia cassa una
nuova bianca pergamena, e riordino le idee che volteggiano selvaggiamente nella mia testa,
cominciando a scrivere.
Era un giorno come un altro, forse, o un giorno speciale. Non so dirvelo, perché in
quel momento nascevo. Mia madre non era riuscita ad aspettare l'arrivo di mio padre, un mago
famoso per le lotte contro i drow e i draghi malvagi, che era rimasto bloccato da una tempesta
di neve che neanche la magia potè oltrepassare, e partorì, nella caverna dove
vissi i miei primi anni nella serenità e nella nn consapevolezza. All'età di 5
anni, poiché ero un bambino precoce, cominciai a parlare, e a rovistare nelle cose di
mio padre, ingredienti per magie, pergamene, pozioni, finché non trovai un baule
marchiato a lettere d'oro. A quell'età i miei genitori avevano appena iniziato a
insegnarmi l'alta lingua elfica comprensibile ovunque tra i miei simili ma riconobbi subito
quella serie di lettere arcane essere un nome. Il mio nome, col quale venivo chiamato sempre
e avevo ormai imparato a convivere: Khailan. Eccitato dalla mia scoperta, provai ad aprire
il baule senza serratura, ma una voce magica, calma, familiare e rassicurante mi disse: <<Non
è ancora il momento...>>. Corsi nella neve fuori dalla caverna proprio mentre
rientrava mio padre, con la solita nube di fumo purpureo che mi faceva tanto sorridere. Mia
madre, forte delle sue tonnellate di peso ma sempre in sua presenza leggera come la neve
stessa, si avvolse nelle sue scaglie argentate e si sciolse, formando la figura di un'elfa
color della luna emanante un bagliore incredibile. Col sorriso che le arrivava agli occhi
anch'essi bianchi, con sottili sfumature di grigio, abbracciò l'elfo apparso e
insieme a lui venne a giocare sulle neve, per mia estrema gioia. Cinque anni dopo, io già
conoscevo i segreti del baule, e mi adoperavo insieme alla mia famiglia per imparare i
rudimenti della magia, senza lanciare o imparare un solo incantesimo, ma cogliendo gli
insegnamenti sulla sua natura capricciosa e volubile, piena di gioie, di segreti e di
pericoli, che poteva dar la vita e dar la morte. Compresi le origini della magia tra i
draghi, gli elfi e gli gnomi, e ogni altra razza predisposta ad accogliere quest'arte
nel cuore. Capii subito come un nano non potrebbe mai essere un grande mago, e allo
stesso tempo apprezzai i miei simili per essere così immersi nella magia, tanto
da essere quasi un tutt'uno con essa. Ma mai come i draghi. Negli anni successivi,
compresi bene le implicazioni di avere un drago d'argento per madre, tanto da poter essere
ancora più longevo dei consanguinei elfi. Un giorno un gruppo di orchi delle nevi,
un esercito della specie più malvagia di quella già terribile razza, si
avventò sulle nostre terre, e vidi mia madre e mio padre come mai dalla mia
nascita. Con un soffio gelido la draghessa a me tanto cara uccise una trentina di quegli
esseri, mentre mio padre usava gli effetti combinati del fuoco e dell'acido per far
sprofondare quelle orride creature nella neve, o le massacrava direttamente con incantesimi
che rappresentavano i soffi dei più potenti draghi della terra. Io ero
semplicemente terrorizzato da quella scena per muovere un solo muscolo. Nel giro di
un'ora l'esercito di un migliaio di orchi che era caduto su di noi fu completamente
sconfitto, con una piccola freccia che sbucava dal robusto corpo di mia madre e mio padre
con gli occhi rossi per la fatica di usare la magia. Stirandosi, mia madre ruppe la
freccia che cadde a terra, e accolse mio padre nelle braccia ora elfiche, stringendolo
in un confortevole abbraccio. Avevo diciassette, anni. Mio padre, liberatosi da mia
madre, si avvicinò a me e disse: <<È ora che tu vada, Khailan. Devi
conoscere il mondo, il vero mondo, lontano dalle nostre braccia e cure. È ora
di affrontare la tua esistenza di elfo drago.>> Si avvicinò ancora di più,
e come per incanto il baule con su scritto Khailan si materializzò nelle mie
braccia, e aprendosi rivelò il suo contenuto. C'erano degli indumenti da
prima avventura, oltre a un libro di incantesimi vuoto. <<Padre, qual è
la via per raggiungere il mondo, e come farò a sopravvivere con questo
equipaggiamento...>> mi zittì con uno sguardo. Aprì un portale
magico, e con le lacrime agli occhi e un ultimo abbraccio mi lasciò andare.
L'ultimo dono di mia madre fu una sua lacrima, di pura energia, che si posò
sul mio cuore e si infilò nel mio animo, rimanendo lì come un faro
acceso brillando con la luce delle stelle. E tutto scomparve, per ritrovarmi solo
e al buio in un edificio, in una stanza chiamata "Stanza fra i due mondi". E
cominciò la mia avventura.
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