Passeggiando nella cittadina di

Silmaril
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Setsuya Artiglio nella Notte


In un remoto villaggio d'oriente, tra le case di paglia e il bestiame scorrazzante nelle strade, nacque un bimbo, dall'unione di un elfo, un mercenario sanguinario, e una donna, una strega che era stata allontanata dalla comunità ivi residente. Chiamarono il bambino Setsuya, e lo allevarono nei boschi e nei campi lontani dal villaggio, poiché avevano condannato la giovane Myryala al rogo. Arwell, il padre di Setsuya, li difendeva dai lupi, dagli orsi e dai banditi, aiutato dalle arti magiche della moglie, e intanto il bambino cresceva forte e robusto, tanto che uccise il suo primo lupo a soli otto anni. Allora Arwell li portò in una città lontana, di notte, e penetrarono in silenzio in una bottega di fabbro. Arwell lavorò tutta la notte, sapendo che il giorno dopo nessuno ci sarebbe stato a disturbarli, a causa di una fiera nella grande città di Tiyama. Preparò un pugnale affilatissimo per il figlio, fece cucire alla moglie una veste, nel quale mettere incantesimi di protezione, e completò il suo equipaggiamento con robusti stivali di cuoio, schinieri e una bandana nera da avvolgere sulla testa per non essere riconosciuto. Saccheggiarono per due giorni, protetti dalle neri notti di quei luoghi, e infine se ne tornarono nei boschi, dove si unirono a un gruppo di banditi. Essi erano i Coltelli della Notte, e Arwell si distinse subito con le sue grandi doti da spadaccino, mentre Myryala suggerì loro varie tecniche per cucire le pelli, e preparò loro molti infusi d'erbe. Il piccolo Setsuya cominciò a prendere parte alle spedizioni, lontano dai genitori, e si trovò a infilzare nella schiena il suo primo uomo. Tenne il sangue sulla lama tutta la notte, finché il giorno dopo, con una strana luce negli occhi, chiese di poter fare un altro assalto ai ricchi mercanti che passavano per un grande sentiero molto lontano da lì. Uccise molti uomini, e si istruì sull'uso del pugnale e della spada, duellando col padre e con gli altri banditi, e arrivando a sostenere scontri con le guardie che proteggevano i mercanti. Imparò a sfuggire a un combattimento sfavorevole, a pugnalare alle spalle, e a fare piccole magie osservando la madre. Raggiunti i diciassette anni, venne mandato verso un luogo dove gli dissero che avrebbe trovato maestri più bravi di loro, prede più grasse e avversari degni di tale nome. Mentre mangiava il suo ultimo cervo arrosto, nell'accampamento, sentì alcuni amici che sussurravano strani frasi, su forza, grande agilità, conoscenza della magia... sentì parlare di ninja, senza sapere cosa fossero. Si vestì del suo equipaggiamento, e salutò i genitori con un abbraccio ciascuno, senza una parola. La madre gli donò un ciondolo d'argento con un'unica gemma rosso sangue, rilucente, come fosse sempre in agitazione. Arwell gli aveva già tatuato dei simboli tribali neri sulla schiena e sul collo. Fece un cenno del capo agli altri banditi, fece l'occhiolino a una ragazza che l'aveva reso felice in alcuni momenti di solitudine, e si incamminò, verso il luogo chiamato Silmaril.



Mi incammino nell'ignoto

Erano ormai tre giorni e tre notti che vagavo tra le colline a nord del bosco, dove avevo passato la mia precedente vita. Pochi cervi pascolavano sotto l'albero, ignari del mio sguardo, e della mia freccia pronta a partire. I miei occhi si focalizzarono su uno di questi, in particolare. Era giovane e forte, aveva alcune striature marroni sul dorso e dei grandi, vivaci occhi color nocciola. Di tanto in tanto smetteva di mangiare l'erba e controllava gli altri membri del gruppetto, oppure fiutava l'aria, col vento del sud portatore di tanti odori che solo lui poteva percepire. All'improvviso, si immobilizzò, guardando nel sottobosco tutto intorno a noi. Un ringhio sommesso pervase l'aria... e l'incantesimo si ruppe. I cervi cominciarono a correre guidati da quello che avevo tanto osservato, mentre cinque o sei lupi sbucarono dai cespugli e cominciarono a inseguirli. Balzai dall'albero e mi unii alla ricerca. Stupido! Ti sei quasi fatto scappare la cena, e ora rischi di doverla dividere con qualche lupo rognoso, pensai, tenendo la freccia in una mano e l'arco nell'altra, mentre prendevo un sentiero che ero sicuro mi avrebbe fatto tagliare la strada ai cervi. Correvo, come il vento, mentre i capelli volteggiavano alle mie spalle, e piccoli arbusti mi ferivano il viso e le braccia, senza rallentare la mia corsa. Giunsi infine in una piana, dove i cervi erano appena arrivati, avendo distanziato i lupi. Incoccai la freccia e con un fluido movimento la mandai a conficcarsi nel collo di un piccolo cervo, che non era molto agile e sarebbe stato sicuramente preso dai lupi... e con lui la mia cena, pensai con un sogghigno. Raggiunsi la carcassa mentre gli altri cervi si erano già dispersi lontani dai lupi che erano appena arrivati. Lanciai uno sguardo al capogruppo, e qualcosa mi disse che doveva aver capito. Era la legge della foresta... i deboli non potevano sopravvivere. Si impennò all'improvviso, sfondando con una zoccolata il cranio del lupo più vicino, poi tornò a correre e a guidare i suoi cervi, lontano dal mio campo visivo. Portai una mano dietro il collo, raggiungendo il pugnale che avevo nascosto, appeso sulla schiena e coperto dalla camicia. Questo ti sarà utile, prima o poi, mi ricordai. Inginocchiatomi, cominciai a scuoiare la povera bestia, riponendo tutta la carne nel tessuto trattato dello zaino, dopo averla cosparsa con un po' di sale, e appesi il resto della carcassa la appesi a un albero vicino, non troppo in alto, in modo che potesse essere raggiunta da quei lupi che avevo l'impressione non avrebbero mangiato molto con quel gruppo di cervi. Mi diressi nella mia grotta abituale, dove il fuoco era pronto da accendere. Grazie all'esca e ad alcune pietre che avevo lasciato lì intorno, entro pochi minuti un caldo fuocherello stava riscaldando la grotta, e solo allora mi accorsi che il tempo era cambiato. Stava sopraggiungendo l'inverno, e presto molti di quei cervi sarebbero morti di fame, e così anche i lupi che si nutrivano di loro. Ma io no, mi ripromisi, mentre mi toglievo gli abiti e mi avvolgevo nella coperta pesante di pelli di animali e lana, e mi sdraiavo vicino il fuoco, prendendo al tempo stesso la carne per metterla sul fuoco. Era stato un rischio correre così vicino a quei lupi, ma la mia vita è fatta di rischi... soffocai uno sbadiglio, e mi tenni sveglio per finire di cuocere la carne. Mangiai avidamente, controllai che lo zaino fosse ben chiuso, e tenendo in mano il coltello, sotto le coperte, mi addormentai improvvisamente. Mi svegliò la fresca brezza mattutina, e stiracchiandomi mi vestii velocemente, sistemando il coltello nel fodero improvvisato dietro la testa. Preso lo zaino, con l'arco e le frecce, raccolsi le ultime cose lasciate nella grotta e ne uscii, consapevole che quella era stata l'ultima notte passata lì. Nella settimana successiva camminai verso nord, sempre più a nord, mentre la temperatura diminuiva ed ero costretto a farmi giacche sempre più pesanti, con le pelli degli animali uccisi. Finalmente, un fiume, un grande, enorme fiume, dove potei riempire le mie borracce, e lavarmi. Mi crogiolai nell'acqua fredda per un po' di tempo, mentre il sole inviava i suoi raggi sulla terra riscaldandola quanto possibile. Infine mi alzai e mi asciugai sull'erba, felice che non ci fosse un filo di vento, non ancora almeno. Raccolsi alcune foglie che sapevo avere effetti benefici, in caso di ferite o malattie improvvise, dovute alla scarsa alimentazione basata esclusivamente su carne e poca frutta, deponendole sullo zaino, e affilai il coltello da caccia su una pietra vicina.
Giorno dopo giorno, il tempo si fece sempre peggiore, finché la neve non cominciò a cadere. Stremato e infreddolito, entrai nel primo villaggio dopo tante settimane, dirigendomi nella locanda, il cui cartello, decorato dalla pittura di un arrosto fumante e una birra scura, torreggiava nella strada. Varcata la porta, un odore nauseante mi avvolse... abituato alla fresca aria boschiva, avevo dimenticato quella sensazione... sudore rancido, cibo in cottura e birra mescolati e vaganti nell'aria come una cappa. Respingendo le mie sensazioni, mi diressi al bancone, dove scambiai la mia carne salata... di questi tempi portare carne di cervo in quei villaggi di contadini era quasi un miracolo... per un boccale di birra e una minestra calda, con verdure e carne ben cotta, facendomi portare anche un po' di pane e un paio di mele.
-La tua carne è stata ben tagliata, ed è ben conservata... ma cos'altro hai da offrire per una cena e un letto?-
Lo sguardo del taverniere, impassibile, mi osservava. Nella faccia rubiconda, i suoi occhi marroni scrutavano tutto l'ambiente circostante, e ora erano fissi in quelli miei. Rimasi immobile, fissando allo stesso modo l'uomo, e lo rassicurai infine dicendogli che dopo la colazione, avrei cominciato a lavorare per lui, tagliando la legna sul retro e portandogli una buona dose di carne per alcuni giorni, finché non fossi riuscito a trovare un buon lavoro.
-Bene ragazzo, ti terrò qui per qualche giorno... ma ti avverto, la legna là fuori e molto dura, e dovrai tenerla al riparo dalla neve e dall'umidità.
Ridacchiando sommessamente, mi portò nella mia camera, dove mi sistemai aspettando la cena. Mangiai infine, assaporando ogni cosa, il primo pasto completo da quando ero andato via dall'accampamento. Spogliandomi, chiamai una cameriera, giovane e dallo sguardo dolce, che portò i miei vestiti a lavare. Crollai nel sonno profondo, senza sogni e senza il coltello nella mano... per la prima volta da quasi un anno.








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