Passeggiando nella cittadina di

Silmaril
Torna agli Eroi

Xanafer Camael


Buio.
Tenebre, desolazione.
Sangue...
Mi giro, e non vedo altro accanto a me ora.
Cosa sono io, figlio maledetto dal destino, progenie dannata, razza assassina... Cosa sono?
A volte, la notte porta al mio guanciale sussurri lontani, echi di un passato che troppo a lungo ho tenuto solo per me. Ed è per questo che ora, qui, alla luce di questo globo luminoso, e impugnando la mia morbida e fedele penna, che tante e tante notti mi è' stata compagna, ho deciso di vergare di mio pugno queste pagine.
Ne ho bisogno, perdonami, o lettore che scorri queste righe; perché ovunque tu sia, e chiunque tu sia, il sollievo che porti alla mia anima mentre scorri con sguardo attento o annoiato queste pagine ingiallite, mi da il coraggio oggi di continuare.
Qualsiasi cosa succeda, qualunque sia il fato di Xanafer Camael, qualcuno ancora conoscerà la sua storia, e saprà che non è stata la stolta ricerca di vanagloria né il fallace desiderio di potere a guidare i miei passi nel mondo di superficie, lasciando la mia città Natale, Menzoberranzan.
Questo e solo questo, ora, mi da la forza di continuare.
Il mio Sovrano perdoni la mia mancanza di fede, ma forse ora, dopo aver visto ciò che ho visto io e vissuto ciò che ho vissuto io, anche lui al mio posto vacillerebbe tentennando.
Perché io ho sondato con la mia anima l'oscuro baratro dell'Abisso, e ho stretto con mano il cuore dei Tanarr'i possenti e ferali, sfiorando con carezze il sangue dei Celestiali, danzando nel circolo empio dei Glabretzu nel rituale di Mor'khyal.
E mi scuso con te, dolce amico che ora leggi...
In fondo, questo non è un fardello che ho il diritto di condividere.
Ma, purtroppo, non ho neppure la forza di sostenerlo.
Possa Balder guidare la mia mano, come non ha saputo guidare la mia vita...

In fede,

Xanafer Camael, Ombra Savia



Finendo di leggere quelle righe, la prima tentazione che ebbe fu di bruciare quello scritto sacrilego.
"Come non ha saputo guidare la mia vita?!", sibilò il paladino scuotendo il capo con sdegno.
"Ah, Bianco Gerarca, signore di tutto ciò che E' e che Sarà... dammi la freddezza di non ridurre in cenere questo cumulo sacrilego di bestemmie con i poteri da te concessimi!"
"E piantala, ragazzone... Io voglio sapere cosa dice dopo. Se non ti interessa va' a strigliare i cavalli, saranno stanchi e una buona strigliata gli sarebbe decisamente più utile che a noi un tuo sermone..."
La seconda figura sorrise, e quando il paladino alzò lo sguardo, tutta la sua rabbia si infranse come un misero castello di sabbia dinnanzi al dolce incedere della marea.
Un sorriso sornione, dolce ma beffardo, caldo e ammaliante, era la migliore arma che l'amico aveva contro di lui, e ancora una volta si scoprì completamente impotente di fronte a quell'espressione che mitigava la sua furia e stemperava il suo sdegno nella più totale, dolce e piatta indifferenza.
"Parli bene, tu" borbottò di rimando, capendo di averla avuta persa ancora una volta "senza-Dio sacrilego e scherzo del destino".
Una terza figura accanto a loro ridacchiò, squotendo giovialmente il capo.
Era poco più che un ragazzo, non poteva avere più di venti anni.
I suoi occhi erano azzurri e dolci, e il suo sguardo vivace e vispo si muoveva, saettando tra l'uno e l'altro compagno.
Il primo, quello che aveva interrotto la lettura dei fogli appena trovati dai tre, era un uomo alto e imponente. O meglio, così sembrava, visto che tutto quello che si poteva vedere di lui era un ciuffo di capelli corvini scendere da sotto l'elmo: l'uomo indossava infatti un'armatura completa grigia, pesante e impenetrabile, scarsamente decorata ma adatta al combattimento.
Sul suo petto spiccava, unico ornamento, il simbolo del Gerarca Balder, lo stesso simbolo che lo identificava come appartenente all'ordine delle Spade Celesti di Balder.
Il secondo uomo, invece, era completamente diverso.
La sua carnagione era chiara, come se non avesse mai viaggiato sotto il sole cocente, e il suo abbigliamento sobrio faceva pensare più a una persona disturbata nel bel mezzo di una festicciola che ad un viaggiatore. Portava pantaloni verdi, di lino, e una camicia bianca non troppo pesante, in netto contrasto con il rigido clima che li circondava. I suoi capelli castani inoltre erano ben tenuti e pettinati, cosa che aveva dello straordinario se si pensava che erano a circa quattro giorni di viaggio dalla più vicina città e a 14 ore buone dall'ultima fonte di acqua pura.
Ovviamente, le distanze non avevano molto senso, quando si trattava di Keith Green; questo ormai il ragazzo lo sapeva bene. Sorrise, fissando il volto sereno e il sorriso disarmante che l'amico stava rivolgendo al paladino nonostante le sue dure parole riecheggiassero ancora nell'aria.
"Sei sempre il solito, Grangel..." si intromise quindi il ragazzo, ridacchiando.
"Te l'ho già detto, omaccione... Non tutti i Doni provengono dagli dei. Ci sono doni che l'uomo si fa da solo, ammettendo il proprio inutilizzato potenziale e sfruttandolo senza l'aiuto di quelle entità capricciose che tu veneri. E non sono scherzi del destino, non meno di quanto non lo sia tu.", concluse quindi Keith piccato.
La reazione del paladino non si fece attendere.
"Occhio, Gatto... potrei tagliarti la lingua molto prima che tu possa us..."
Era una frase destinata a non finire, purtroppo. Con una risatina, il ragazzo andò accanto all'uomo, mentre Keith squoteva la testa sorridendo.
"Grangel, Grangel, Grangel..." il sorriso dello psionico si allargò in un piccolo sogghigno divertito "capisco davvero perché il tuo padre superiore ti abbia affidato alle mie cure, per completare il tuo addestramento... Hai proprio bisogno di una bella e massiccia iniezione di umiltà, caro il mio QUASI paladino di Balder..."
Ovviamente, il tono con cui Keith aveva marcato la parola "quasi" non mancò di far sfuggire a Soujiro una risata divertita: il ragazzo conosceva bene lo psionico, ormai, e sapeva benissimo che il trucchetto della dominazione mentale era inefficace contro la maggior parte degli avversari che comunemente si trovava ad affrontare...
Di quelli addestrati, perlomeno: non certo di quelli troppo sicuri di se per pararsi dall'intrusione mentale dello psionico.
Emettendo un suono gutturale e facendo un cenno di assenzo, il quasi paladino si avviò verso i cavalli a passi lenti e meccanici.
"Bene, Sou... e mentre il nostro volenteroso QUASI paladino del "Magnifico e Splendido Gerarca Balder" striglia i nostri cavalli... cosa ne dici di continuare a leggere?"
Ridacchiando, Soujiro annuì dolcemente, prendendo il rotolo di carta pergamena in mano e tornando a posare lo sguardo sulle lettere ancora fresche. Anche se l'imitazione del tono di Grangel fatta da Keith era quasi perfetta e sicuramente molto comica, il ragazzo ebbe la prontezza di spirito di notare, tra una risatina e l'altra, che l'inchiostro era ancora ben lucente e scuro.
La pergamena era stata stilata da non piu' di qualche mese, di questo era certo.

Lo psionico sbuffò spazientito, strappando quindi la pergamena di mano al ragazzo e dandogli una veloce scorsa. Improvvisamente sentì gli occhi farsi pesanti, e un vago senso di nausea cominciò ad affiorare.
Traendo un profondo respiro, Keith si mise al lavoro.
Per prima cosa cadde in stato di trance, rilassando completamente ogni muscolo del proprio corpo. Le sensazioni gli iniziarono a giungere come echi lontani e ovattati di un mondo privo di senso, mentre la sua mente scindeva i legami che la trattenevano ancorata al corpo e alla sua materialità; quindi si immerse in profondità nel proprio io cosciente, cercando.
Ma sapeva già cosa vi avrebbe trovato.
Appena poco più sotto del primo strato del subconscio, lo psionico iniziò a intravedere i segni dell'incantesimo che lo stava colpendo: un dweomer drowish molto semplice, in realtà, ma tremendamente efficace.
Ma il dominio mentale era il suo campo, e nessun incantesimo, per quanto di origine drow o per quanto perfetto potesse essere, poteva superarlo... Cominciò a lavorare sull'incantesimo, rimpiangendo in cuor suo di non avere più tempo per osservare meglio quel dweomer. La magia drow lo aveva sempre affascinato...
Questo dweomer poi, era decisamente un'opera d'arte. Si notava che chi lo aveva prodotto non aveva una profonda conoscenza degli incantamenti e delle tecniche più approfondite di dominio mentale, ma era geniale nella sua semplicità.
E soprattutto, rivelava molto più di quanto il creatore in se non avesse mai immaginato, si disse lo psionico rimuovendo l'ultimo blocco dell'incantesimo e ritornando al suo corpo materiale...

"Dopo aver letto queste parole, permettimi di scusarmi con te. L'incantesimo che pregna queste pagine non ti procurerà dolore nè fastidi, ma quando cercherai di riportare alla memoria i contenuti di queste pagine, scoprirai che ti è impossibile, e a lungo andare perderai memoria dell'esistenza stessa di questa pergamena."

Keith sorrise, fissando l'espressione sognante di Soujiro. A quanto pare, lo psionico era l'unico ad essersi accorto del dweomer. Tornò quindi a leggere con gli occhi, immergendosi nel documento.

L'inizio era molto monotono, per Keith che conosceva abbastanza bene le abitudini e lo stile di vita Drow: a quanto pareva, lo scritto parlava della vita di una certa Xana, ultimogenita della famiglia Camael.
Keith non conosceva bene Menzoberranzan, la più grande delle città drow del sottosuolo, tuttavia ne conosceva un po' l'ordinamento sociale.
Nella città drow, ove vigeva il matriarcato e dove il potere era in mano alle donne, otto famiglie nobiliari si contendevano il comando: otto famiglie dominavano su tutte e venti le casate nobiliari della città, mentre il resto della popolazione, composta in gran parte da folletti e gnomi delle profondità, era ridotta in quasi totale schiavitù.
Keith non sapeva nulla di quali casate fossero al potere al momento: conosceva solo il nome della prima casata, Baenre, ma nulla di più. Tuttavia, mentre leggeva il resoconto dei primi anni di vita di questa Xana, qualcosa attirò subito la sua attenzione.
La ragazza era entrata alla tenerissima età di 3 anni ad Arach-Lytilith, l'imponente struttura entro la quale le sacerdotesse devote alla dea ragno Lolth venivano iniziate alle oscure ed empie pratiche della magia clericale.
Lo psionico rabbrividì, leggendo velocemente quelle pagine: la cosa aveva del sovrumano.... Non solo questa giovane drow di nome Xana era entrata nell'accademia delle chieriche di Lolth ben 12 anni prima del normale, ma il suo addestramento...
Keith inghiottì a vuoto, prendendo a mormorare e leggendo a voce bassa lo scritto della pergamena.

"Ricordo ancora il giorno della Comunione, avvenuto circa 600 cicli di Narbodel dopo il mio ingresso ad Arach-Lytilith. Ricordo il profumo dolce e nauseabondo delle erbe che bruciavano nei bracieri, mentre il circolo di rune veniva completato attorno a me. Le mie compagne, con i cappucci abbassati, continuavano a salmodiare gli incantesimi che il rituale prevedeva: quando infine l'ultima runa fu tracciata, la Maestra del circolo pronunciò una parola di potere, e tra crepitanti fiamme e un acre odore di zolfo, il Balor apparve in tutta la sua imponenza e ferocia..."

Seicento cicli di Naerbodel...
Anche questo per Keith non era un mistero: Narbodel era un enorme obelisco, posto al centro della città, e serviva agli elfi scuri per scandire il tempo. Ogni giorno, l'arcimago andava alla base di Narbodel, infondendogli calore tramite un incantesimo. Il dweomer di cui era infuso l'obelisco faceva poi il resto, costringendo il calore a propagarsi uniformemente lungo la mastodontica stele di pietra scura, fino a riempirla completamente, quindi a spegnersi partendo dalla base e finendo alla cima. Questo avveniva in quello che per le creature di superficie era un giorno completo, e ogni giorno l'enorme obelisco veniva caricato magicamente, segnando lo scorrere del tempo nelle profondità dell'underdark: agli occhi dei drow infatti, il calore appariva come una radiazione luminosa rossastra, e in base alla colorazione dell'obelisco gli elfi scuri dividevano le giornate.
Seicento cicli di Narbodel... quasi due anni.
Quella ragazzina si era trovata sola davanti a un Balor, il più potente e spietato tra gli abitatori dell'Abisso, a soli cinque anni?

"Il Balor non mi toccò, e rimase immobile davanti a me. Fissai il suo muso, spostando lentamente lo sguardo tra le fila di denti lunghi come pugnali, vedendo le goccie di bava cadere dalle fauci della mostrosa creatura e sentendo l'acido che le componeva sfrigolare a contatto con il pavimento, che non era protetto dal dweomer di antimagia.
Poi, d'un tratto la frusta infuocata che la creatura stringeva in una mano sibilò, fendendo l'aria; mentre un ruggito squassava il mormorio tremolante delle mie compagne, lingue di fiamma apparvero ai piedi del Balor, e un'altro ruggito seguì il primo, mentre la punta della frusta schioccava a pochi centimetri dal mio viso, brucciando i miei capelli e la pelle del mio volto.
"Folle!!!" ruggì la creatura, cercando di aprire le ali ma non riuscendoci: il circolo riusciva a malapena a contenerci entrambi, ma non avrebbe mai contenuto gli oltre tre metri di apertura alare del demone.
"Mi senti, chierica?! Sei una folle!! Credi davvero di poter ottenere il favore del possente Errtu con questo misero dono?!? Strapperò il cuore alla bambina, mi nutrirò del suo terrore e della sua vita, succhierò il midollo dalle sue ossa e infine farò lo stesso a te, pazza, mille volte pazza per avermi evocato!"
Matrona Camael non si scompose, e fece due passi verso di noi, alzando il cappuccio della sua tunica da cerimonia.
Per alcuni istanti, lei e il demone si fissarono, mentre le fiamme ancora avvolgevano la creatura.
"Possente Errtu, magnifico tra i magnifici, la morte si annida nel tessuto stesso del tuo essere e il terrore abita le tue fauci e i tuoi artigli..." mormorò infine matrona Camael, con voce calda e tono basso "...grandi, enormi sono i tuoi poteri, possente Balor... Eppure guardati, impotente e immoto di fronte a mia figlia Xana..."
Un largo e malvagio sorriso si allargò sulle labbra di matrona Camael, motteggiando il demone.
Allora successe.
Mentre il ruggito della creatura riempiva l'aria attorno a noi, e le fiamme che la attorniavano si alzavano rombando...
Mentre la frusta a tre code saettava crepitando verso il mio viso...
Mentre matrona Camael si voltava, alzando nuovamente il cappuccio sul viso dolce e crudele...
Sentii qualcosa agitarsi dentro di me, dilagando e distruggendo ogni più nascosta fibbra del mio essere, e farsi strada tra i miei pensieri e le mie emozioni, ruggendo e lacerando, graffiando e mordendo...
Fu come se il mio corpo fosse scosso dai tremori di una forte e letale febbre; sentii una vampata di calore all'altezza del basso ventre condensarsi e salire, e salendo bruciare ogni cosa, come se le mie viscere stesse fossero il combustibile di cui si nutriva la fiamma che sembrava aver preso possesso del mio corpo.
Urlai, ma non v'era aria nei miei polmoni che portasse quell'urlo fuori dalla mia mente.
Gemetti, ma non una lacrima scese a dare conforto alle mie guancie, non un singhiozzo spezzò l'innaturale silenzio che mi circondava.
Mi dibattei, ma non c'erano legacci a costringermi: semplicemente, il mio corpo non ubbidiva più.
Vidi la mia mano levarsi e afferrare la frusta del demone.
La vidi strattonare, e vidi la terribile arma volare di mano alla possente creatura, mentre uno schianto sordo si propagava nell'aria: rumore di ossa rotte, di cartillagini tranciate dalle bordature seghettate della frattura.
Vidi il mio dito puntare il Balor, che ora urlava di dolore e non di collera, e un lampo violaceo fulminare la creatura, che solo la barriera offerta dal cerchio rituale salvò da un volo di parecchi metri contro la possente parete dell'accademia.
E poi la sentii, dentro e intorno a me...
Furia, cieca furia distruttrice, inenarrabile, indescrivibile; ogni mio muscolo, ogni anfratto della mia mente, ogni parte di me stessa, anima e corpo, era uno strumento del caos, e nel caos affondavano le pieghe più nascoste del mio io, e nel caos ero immersa, come una lama che prima della battitura viene immersa nel fuoco della fucina in attesa della tempra.
Odio e rancore, entropia e furia; un urlo squassò l'aria, il più feroce verso che avessi mai sentito, abominevole nella sua innaturalità, tremendo nella sua primordiale semplicità: nei suoi echi scorsi il primo e il più forte degli istinti, la prima delle leggi... la legge del caos.
L'urlo della belva.
Il mio urlo, che ora si spandeva entro le mura dell'accademia: e neppure per un attimo dubitai che sarebbe stato udito finanche a Melee Maghtere, l'accademia dei maghi situata dall'altra parte della città..."


Keith si asciugò con il dorso della mano le goccioline di sudore che imperlavano la sua fronte. Accanto a lui, Soujiro ciondolava inebetito, quasi che ogni sillaba o parola lo sfiorasse senza produrre il benché minimo suono.
La mattina avanzava veloce, e il paladino sedeva a qualche passo di distanza da loro.
Il dominio mentale dello psionico aveva ancora effetto su di lui, e per un attimo Keith vagliò la possibilità di risvegliarlo, scartandola dopo pochi minuti.
Poteva farlo uscire dallo stato di trance in cui verteva quando voleva, ma non poteva dire altrettanto del dweomer drowish che pregnava la pergamena: non sapeva quanto quell'incantesimo sarebbe durato, e cominciava già a temere per il ragazzino.
Non c'era motivo di esporre anche il giovane Grangel a quel rischio, si disse.
Traendo un pronfondo respiro, si dispose quindi a leggere l'ultima parte della pergamena che stringeva tra le mani...

"In quel momento, più dello stupore per quanto avevo appena visto e vissuto e la gioia per la vita che, a quanto pareva, mi era stata risparmiata, mi prese il terrore...
Ho visto, nella mia lunga vita, altri bambini oltre me a cinque o sei anni: cuccioli di elfo, piccoli uomini e hobbit.
Ma in nessuno di questi ricordo di aver mai visto quel barlume di lucida follia che ora, se chiudo gli occhi, rivedo nel mio sguardo.
Il calore delle fiamme del balor, infatti, aveva fuso il pavimento di ossidiana su cui era tracciato il circolo. Ma ora che il balor era stordito, la superficie semiliquida si andava solidificando a una velocità impressionante, mantenendo la lucentezza di uno specchio in vetro... e andando svelando ai miei occhi quello che fu il mio ultimo ricordo completamente cosciente.
Il mio viso, avvolto da un manto di pura tenebra, un alone che anziché risplendere del fulgore della magia che sembrava essere tanto forte in me, sembrava attrarre a se la luce e creare oscurità attorno al mio volto, quasi che la luce fosse assorbita e mangiata da quella grottesca caricatura della bambina che avevo visto fino a poche ore prima riflessa nel bagno della mia camera in Accademia..."


Lo scritto ora era più sbiadito, e la grafia più incerta. Chiunque lo avesse scritto, doveva essere stato preda di forti tremori proprio in quel punto del racconto, tanto che la bella e ordinata grafia era sostituita da una grossolana e goffa caricatura di se stessa, che risultava essere quasi illegibile.
Lo psionico si mise di buona lena, continuando la lettura e riprendendo ogni passaggio più e più volte, a volte ritornando indietro di vari paragrafi e ricominciando tutto daccapo...
A quanto pareva, d'improvviso la bambina si era trovata avvolta da una luce bianca e calda, dolce e rassicurante. C'era stato un gran vociare attorno a lei, e aveva sentito le urla di matrona Camael, e gli incantesimi della drow sibilare minacciosi nell'aria... invano.
Qualcosa la stava portando lontano, ora... Lontano, e lei non sapeva nè voleva sapere dove, non sapeva nè voleva sapere come, non sapeva nè voleva sapere perché...

Con difficoltà, Keith cominciò a leggere l'ultima parte dello scritto.

A quanto pare, la bambina di nome Xana aveva avuto un dialogo con l'entità che, stando a quanto aveva capito Keith dalla frammentaria ricostruzione dello scritto, l'aveva portata via con se, strappandola, quel giorno, a sua madre.

"Chi sei, tu?"

"Non è questo ciò che vuoi realmente sapere, eppure ti risponderò. Il mio nome è Mirhsann, Xana Camael."

"Mirshann? E cosa vuoi da me, Mirshann? Oh, si... Io lo so... Io sono un mostro, Mirshann... e tu un angelo venuto a distruggermi..."

"Ecco, piccola Xana... eccola la vera domanda. Cosa sei, tu?"

"Io sono un mostro..."

"Davvero?"

"Si. Ho ferito. Ho provato piacere nel farlo. Ho visto il mio volto divorare la luce attorno a se, come se fosse parte dell'essenza stessa delle tenebre. Ho udito il sussurro del Caos, e ho scoperto che la sua voce è per me un urlo che riecheggia incessantemente nella mia anima. Io sono un mostro..."

"...hai ragione, piccola Xana..."

"Tu sai cosa sono?"

"Si"

"Dimmelo."

"Sei sicura di volerlo sapere, Xana?"

"Sai già la risposta, Mirshann."

"Tu sei il guscio destinato a contenere l'essenza stessa del Caos, piccola Xana. Tra non molto, una grande sciagura si abbatterà sui Reami. Gli dei saranno scacciati dalle loro dimore celesti, e cammineranno sulla nuda terra entro spoglie mortali. Pochi di essi ne sono a conoscenza, e ancor meno sono quelli che si preparano a tutto questo... E tu, piccola Xana, sei il "guscio" che la Regina Aracnide, la dea Lolth, ha scelto per se durante quello che passerà alla storia come il Periodo dei Disordini..."

"...il guscio..."

"Esatto, piccola Xana. Tu potresti divenire l'incarnazione mortale della dea. Tu sei l'eletta, destinata ad essere la sua Avatara."

"...proverò dolore, Mirshann?"

"No, piccola Xana. Non ne proverai, ma ne causerai molto."

"Non mi importa del dolore che causo, Mirshann. Il mondo è dei potenti: chi non ha abbastanza potere da impedire agli altri di procurargli dolore, merita ogni briciola delle pene che gli verranno inflitte. Odio i deboli."

"Io sono più potente di te. Potrei ucciderti."

"Potresti."

"E avrei ragione a farlo?"

"...ancora una volta, tu conosci già la risposta, Mirshann..."

"Si, la conosco. Dovrei. Dovrei ucciderti, piccola Xana... Ucciderti, perché tu rappresenti una minaccia per molte, troppe vite..."

"Fallo."

"Non sarei diverso da ciò che combatto, se ora agissi così..."

"Non hai scelta, Mirshann. Fa ciò che devi, ora..."

"C'è sempre scelta, piccola Xana... E lo scoprirai ben presto. Nonostante il tuo sviluppo abnorme, sei ancora inesperta. Vivrai, e prenderai la tua strada in totale libertà... Perché ho deciso che voi sarete libere."

"...voi?"

"Dentro di te, piccola Xana, si annida un potere troppo grande per un comune mortale. Prima, per soggiogare il balor, non ne hai usato che una briciola: eppure questo ha completamente disfatto il tessuto della Trama, permettendomi di localizzarti. Nessun uomo potrebbe portare con se tanto potere, piccola Xana... Neppure un valoroso Drow."

"Sigillerai questo potere, Mirshann?"

"Non posso, Xana... Questo va ben oltre i miei poteri. Ma posso fare altro. Vivrai... Ogni parte di te vivrà, piccola Xana... dan fer 'y lyon..."

"Dan fer... 'y lyon... "Dove una, ora due"..."

"Capisci, Xana?"

"...forse..."

"In un certo senso, io ti distruggerò, piccola Xana... perché questo è l'ultimo giorno in cui Xana Camael vive..."

"Capisco..."

"Perdonami, se puoi..."

"Non mi chiedere un perdono di cui sai benissimo di non aver bisogno, Mirshann. Non è una scelta che tocchi a te. Devi farlo, quindi fallo: è così che deve essere."

"Hai ragione..."

"...Mirshann?"

"Si?"

"Diresti loro una cosa... Per me?"

"Tutto ciò che vorrai, piccola Xana"

"Di' a Xana... ...a Xanafer... e Xanalyon... che una scelta è sempre possibile..."

"Addio, piccola Xana... Non temere... Il tuo ricordo dentro di me non scomparirà mai; e neppure le tue due metà che ora giacciono tra le mie braccia ti dimenticheranno, perché il tuo potere è parte di loro e loro sono parte di te... E le Alte Schiere Celesti mi perdonino, ma io so che soffriranno, perché ricorderanno ogni cosa di quanto è accaduto, pur non potendo far nulla per cambiare ciò che è stato. Mirshann... Angelo... Con che diritto mi do' questo nome, io che oggi condanno voi, Xanafer e Xanalyon Camael a vagare in due dimensioni sperdute e diverse dal vostro piano natale? Chi sono io, per condannare due anime infelici a vagare nei secoli, mai sazie e mai felici, in cerca di riunirsi ma senza che gli sia mai tuttavia concesso neppure di incrociare lo sguardo?"

Ricordo a quel punto di aver pianto, tra le braccia dell'angelo dalla pelle color ebano che ci conduceva, me e mio fratello Xanalyon, attraverso il portale di luce e verso le nostre nuove dimore.

Ricordo le lacrime, e il viso atterrito di Xanalyon di fronte a me, mentre il viaggio nei condotti stessi del tempo e dello spazio influiva sul mio corpo materiale, mutando il mio aspetto e il mio fisico, e forse - chissà - la mia anima...

Quanto attesi, in lacrime, tra le braccia dell'angelo?

Quanto durò il viaggio nel tunnel dimensionale?

Non so dirlo.

So solo che partii dal mio piano natale come infante, e fui depositato ai piedi di una scuola che il mio corpo era quello di un diciassettenne.

"La luce ti sia amica, Xanafer Camael..."

Volsi lo sguardo sull'angelo dalla pelle d'ebano che teneva tra le braccia mio fratello Xanalyon - la mia metà, Xanalyon - e per la prima volta, le mie labbra si mossero e le parole uscirono dalla mia gola.

"Le ombre ti siano compagne, Mirshann, angelo caduto... Si, di cosa ti stupisci? Le ombre, non la luce, angelo. Nulla può essere distrutto dalla luce, come tu oggi hai dimostrato. Ma il male, lo stesso male che ha portato alla nascita di me e di mio fratello, lo stesso male che ora in un'altra dimensione e su un altro piano dell'esistenza si torce le mani e da la caccia a colei che mi ha generato, non può che essere distrutto. Il male non muta: il male domina o si estingue, ma mai e poi mai deve essergli concesso di languire. E per distruggerlo, se non la luce, l'ombra e la tenebra possono essere armi adatte. Tu ne sei la prova, angelo. Tu non hai potuto distruggerlo."

Guardai Mirshann riaprire il passaggio di luce, e gettai un'ultima occhiata a mio fratello, e agli occhi velati di lacrime del Solar che lo stringeva tra le braccia.
L'angelo sbattè le ali, levandosi in volo sopra di me.

"Perdonami se puoi, Xanafer Camael..."

"Perdonati se riesci, Mirshann.", risposi semplicemente.

Indietreggiai, volgendogli le spalle e muovendo i primi passi dentro quella strana struttura che tanto mi ricordava un'accademia in cui avevo vissuto una vita che mi apparteneva, pur non essendo mai stata mia...



In fede,

Xanafer Camael, Ombra Savia




Il sole calava, ed era già basso sulla linea dell'orizzonte.
Un allegro fuoco da campo scoppiettava, e alcuni pesci infilzati su rudimentali spiedini di legno cuocevano a poca distanza da esso.
"...davvero, io non capisco cosa mi sia preso...", stava dicendo Soujiro al paladino, mentre questi controllava il suo stato di salute.
"Fidati, amico: se viaggi con quel tizio, queste cose sono all'ordine del giorno", sbottò Grangel lanciando un'occhiataccia a Keith.

Lo psionico si alzò in piedi, sorridendo ai due amici.
"Domani proseguirete senza di me, se vi consola" disse infine.
Grangel lo guardò con aria interrogativa, e allo psionico non servirono parole per capire la domanda a cui doveva rispondere.
"Ho qualche affare da sbrigare, e c'è una persona che vorrei conoscere..." spiegò semplicemente stendendosi sul proprio giaciglio accanto al fuoco.
"Non torni alla locanda, per la notte?" gli chiese Soujiro, prendendo posto accanto al fuoco e sbocconcellando uno dei pesci ancora mezzi crudi.
"A volte è bello dormire sotto le stelle, Sou...", rispose lo psionico con uno sbadiglio, a cui seguì il sonoro brontolio di Grangel.
Lui, per parte sua, adorava dormire in letti puliti e soffici e tra lenzuola degne di questo nome.
"Cos'è che hai usato per accendere il fuoco, Keith? C'è della carta ai bordi del cerchio di pietre..."
Lo psionico sorrise, schioccando le dita. Subito le fiamme risposero al richiamo, levandosi alte e incenerendo gli ultimi frammenti di carta pergamena. Soujiro imprecò, affrettandosi a togliere il pesce dal fuoco troppo alto, ma inutilmente: ormai era più che ben cotto...
"Niente di particolare, Grangel. Solo vecchi appunti di viaggio..." concluse quindi lo psionico, chiudendo gli occhi.
Dentro di se, poco prima di addormentarsi, si chiese come avrebbe riconosciuto il drow se non lo aveva mai visto; ma alla fine scacciò quel pensiero con un sorriso.
Lo avrebbe trovato, ne era certo.
Era una compagnia troppo interessante, per non spendere qualche giorno in ricerche pur di goderne.



NOTE A FINE STORIA:

Mirshann, in drowish (lingua drow) significa per l'appunto "angelo".

I drow sono dotati di infravisione: questa particolare caratteristica gli permette di vedere lo spettro ultravioletto, dove anche il calore è percepito come una radiazione luminosa. Le superfici che ne emanano, sono per gli elfi scuri completamente illuminati di rosso: ecco perchè il riscaldamento e raffreddamento progressivo di Narbodel gli è utile per calcolare lo scorrere del tempo.

Normalmente, un drow resta con la famiglia fino a 12 anni: a 12 anni i maschi vengono mandati a Sorcere, l'accademia della magia, o a Melee Maghtere, l'accademia che istruisce i guerrieri. Le femmine vengono invece mandate ad Arach-Litylith, dove studiano per diventare sacerdotesse della dea ragno Lolth (Lloth in drowish).








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