Passeggiando nella cittadina di

Silmaril
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Yul Ar-Thorendill


Il mio nome è Ellermir, figlio di Elramir e sono circa 3 ere che i miei occhi vedono quotidianamente il nascere ed il morire del sole. Le memorie qui contenute si riferiscono ad un'epoca passata da tempo, ormai persa in una delle numerose spirali della memoria degli uomini. Ma noi elfi siamo diversi dagli uomini, forse soprattutto in questo: la nostra memoria non sbiadisce ed appassisce col passare del tempo come un fiore estivo ai primi rigori autunnali, ma trae proprio dal susseguirsi imperterrito delle lune nuova forza e vigore. A quei tempi ero poco più che un giovane guerriero avventato ed incosciente, ma ciò che videro i miei occhi vanno ben al di là della puerile immaturità: tutti i popoli rimasero folgorati dalle incredibili imprese che compì l'uomo di cui leggerete tra breve e persino i saggi della mia stirpe preferirono definire divina la sua natura piuttosto che semplicemente mortale.
Correva l'anno 3163 prima della grande glaciazione ed una terribile catastrofe incombeva sul mondo che gli uomini amavano chiamare "civilizzato". Tutte le terre abitate erano minacciate da un male profondo risvegliatosi al nord. La Grande Nemesi lo chiamavano gli uomini, mentre gli orchi nella loro semplice quanto stupida lingua, lo definivano Kadrazzad (penso volesse dire "Grande Picchiatore Cattivo", ma prendete questo dato con beneficio di inventario in quanto la mia conoscenza di fonemi orcheschi non è ovviamente ferrata). Noi, invece, conoscevamo benissimo il suo nome: Farghelot si chiamava l'immondo, "Il Torturatore d'Anime", figlio dell'ingordigia e della follia generatesi dopo la grande guerra degli dei. Farghelot venne incatenato con cinghie forgiate nell'Empireo stesso e relegato in una prigione adamantina custodita dalle bestie più feroci che mente divina abbia mai concepito. Dopo sotterfugi e diabolici intrighi, egli riuscģ a fuggire e giurò vendetta, non solo agli dei suoi fratelli che lo avevano costretto in catene, ma alla vita stessa. Lavorò instancabilmente per millenni nelle profondità della terra da lui stesso scavate, dando vita alle più orrende mostruosità mai viste. C'è chi diceva che perfino gli dei rabbrividirono vedendo le purulente e mefitiche creazioni del genio corrotto di Farghelot. E purtroppo proprio in quegli anni i suoi eserciti furono completati e messi in marcia per la totale eradicazione della vita dal mondo. Ma la speranza non venne mai meno, soprattutto a coloro che tra gli Eldar possedevano il dono della preveggenza. Fu Acthelion, il venerabile druido della Quercia Sempiterna, a profetizzare l'arrivo del salvatore, di colui che, vestito del più nobile sangue vivente, ma dotato della sprovvedutezza tipica degli esseri mortali, avrebbe ricacciato l'immondo nel baratro profondo da cui stava giungendo a noi. E non molto tempo passò da quella profezia che la voce della nascita dell'eletto si spargesse per tutto il continente. Si diceva fosse stato trovato in un bosco ed allevato da agricoltori, mentre altri affermavano che una maestosa aquila l'avesse portato dal cielo e c'era addirittura chi affermava che egli fosse nato da un bagliore improvviso scaturito dal cielo. Mai nessuno, escludendo me, seppe in realtà come questo individuo venne al mondo. Fatto sta che i saggi del mio popolo lo convocarono al palazzo per esaminarlo e per stabilire chi fosse egli in realtà. Fu allora che io lo vidi. Un umano di statura imponente (anche per uno standard elfico), dalla corporatura robusta e perfetta in ogni sua caratteristica, non tozza e sgraziata come accade invece per la maggior parte degli umani. Portava i capelli lunghi all'altezza delle spalle, di un nero così intenso che rifletteva chiaramente i raggi del sole. La barba era folta ed incolta, gli occhi neri e profondi, come due gemme nerissime incastonate in uno sfondo di madreperla. Il suo incedere era solenne ed il suo sguardo molto profondo, tanto che perfino un Eldar si sarebbe sentito in disagio a fissarlo negli occhi per più di un istante. In seguito venni a sapere che il suo nome era Thorendill. Egli fece una grande impressione ai saggi tanto che quest'ultimi rimasero per 3 giorni e 3 notti chiusi nella sala del consiglio per decidere cosa sarebbe stato fatto. La mattina del quarto giorno fu convocata un'adunanza generale di fronte alla Quercia Sempiterna, luogo venerato e rispettato massimamente da noi elfi. Tutti accorremmo per udire cosa aveva stabilito il consiglio. Fu la voce di Acthelion a dissipare ogni nostro dubbio: "Nobili fratelli e sorelle, da tempo ormai siete a conoscenza delle terribili ore che si stanno avvicinando e delle tremende nubi che incombono sul destino di noi tutti. Molti di noi periranno nella battaglia che ci accingeremo ad intraprendere, ma nessuna delle nostre morti sarà vana: il Consiglio ha stabilito che la persona qui al mio fianco" indicando con il suo bastone nodoso la figura di Thorendill "è l'eletto, colui che salverà il nostro mondo e che umilierà l'Oscuro Nemico, colui che ci guiderà nei momenti bui e che sarà alla fine il supremo vincitore." Il silenzio assoluto scese sulla piazza come bruma che ricopre ampie vallate impedendo al viaggiatore la visuale. Una voce improvvisa ruppe il silenzio: "Un umano salverà le nostre sorti?" si udì in un tono aspro e velenoso. "Un patetico umano ci ridarà la libertà?". Una parte di coloro che prima ascoltavano in silenzio prese a rumoreggiare, forse criticando colui che aveva proferito tali parole o, forse, prendendo le difese del consiglio. Fatto sta che Thorendill gridò: "Sfiderò chiunque tra voi voglia prendere il mio posto...". La sfida era stata proferita con tale sicurezza che nessuno sembrò volesse accettarla. Ma la voce che in precedenza ruppe il silenzio lo fece nuovamente: "Io ti sfido, uomo. Sono Erdrazil, figlio di Terdwen, e ti sto aspettando qui con la mia spada pronta!". Erdrazil era un elfo forte e brutale che più volte aveva rischiato l'espulsione dalla cittadella o l'imprigionamento. Nessuno di noi si sarebbe mai sognato di raccogliere una sfida da Erdrazil: troppo grande era la sua fama di brutale assassino e torturatore. Ma Thorendill guardò Achtelion e, dopo un veloce sorriso, sfoderò la sua ascia bipenne e si lanciò dalla terrazza da cui stavano parlando. Penso ci fosse un dislivello di circa 3 metri tra la terrazza ed il suolo... Fatto sta che Thorendill atterrò su due piedi con l'espressione di uno che è appena sceso da un letto nel quale ha dormito comodamente. La folla fece cerchio attorno ai due contendenti mentre i saggi guardavano dall'alto. Io presi posto in prima fila, non volendo perdere quell'incredibile duello. Rimasi esterrefatto dalla rapidità con cui si svolsero le cose. Erdrazil si lanciò contro Thorendil, spada alla mano, maledicendo la stirpe degli uomini. L'uomo non fece una piega, attendendo l'arrivo del rivale. Il potentissimo fendente dell'elfo viaggiò ad una velocità inimmaginabile, tanto che la maggior parte di noi pensò che per Thorendill fosse la fine e che i saggi fossero stati troppo avventati nel giudicare un uomo pronto per una tale missione. Quando, però, la spada di Erdrazil colpì solo l'aria capimmo chi era l'uomo che avevamo davanti: Thorendill con una rapidità consona solo a coloro che abitano nell'Empireo, schivò il fendente dell'elfo per poi sventrare l'avversario con un colpo di ascia che avrebbe spaccato in due un albero spesso due metri. Tutti ci guardammo increduli e non pochi furono quelli che si inginocchiarono ringraziando gli dei del dono che ci avevano concesso mandando quell'uomo. Egli ci guardò dall'alto verso il basso e dopo qualche istante di irreale silenzio mi si avvicinò e mi disse: "Giovane elfo qual è il tuo nome?". Io quasi tremando gli risposi "Ellermir signore"; "Bene Ellermir vuoi tu seguirmi nell'impresa che mi accingo a compiere?" i suoi occhi erano vitrei, il suo viso immobile. Non sapevo perché ma da dentro sentii l'esigenza di rispondere: "Sì mio signore". E per fortuna lo feci. Seppi solo una volta partiti dove eravamo diretti e cosa dovevamo fare. Effettivamente non è il modo migliore per affrontare le avversità, ma allora, come vi ho già detto, ero giovane ed inesperto. Partimmo il pomeriggio stesso alla volta delle Montagne Nere a cavallo di due veloci destrieri. Il viaggio fu lungo e faticoso e non poche volte ci ritrovammo ad affrontare belve di ogni genere, sia di notte che di giorno. Arrivammo all'entrata delle caverne che conducono nel cuore della montagna e Thorendil decise di proseguire a piedi, in quanto i cavalli non avrebbero potuto proseguire su un tragitto così impervio. Io fui d'accordo con lui e così lasciammo i cavalli all'entrata e ci incamminammo. Non ricordo bene cosa successe o, forse, non voglio ricordare, ma improvvisamente avvertii un fortissimo dolore alla testa e caddi improvvisamente esanime. Mi risvegliai incatenato ad una parete in un'enorme e luminosissima caverna. Inizialmente pensai di essere all'esterno ma guardando attentamente capii che ero ancora all'interno della montagna. Ero circondato da tesori di ogni tipo: monete, corone, scettri, gioielli e quant'altro la mente possa immaginare. Ma fu un oggetto di una bellezza disarmante a colpire i miei occhi. Su di una piccola altura fatta di teschi (stranamente solo umani) ai ergeva una splendida armatura variopinta. O almeno da quella distanza mi sembrava variopinta. Splendeva più dei diamanti che la attorniavano e l'aura magica che la attorniava era visibile ad occhio nudo. All'improvviso la terra iniziò a tremare. Il rombo si faceva sempre più forte ed insistente, tanto assordante da farmi chiudere gli occhi dal dolore. Quando li riaprii la mia vista fu totalmente oscurata da un essere di dimensioni indescrivibili. La sua pelle era delle stesse fattezze dell'oro ed il suo corpo era fatto di scaglie, proprio come un rettile. Sollevai la testa e riuscii a distinguerne la testa. I miei dubbi svanirono quando riconobbi le fattezze tipiche di tali fiere: era un drago. Le sue dimensione, come già detto, erano spropositate. Mai era stato narrato di un drago di tali proporzioni. Mi preparai allora ad una rapida morte disperando, ovviamente, della salvezza. Una voce roca, simile al suono di rocce che si sgretolano, disse "Non aver paura nobile essere. Tu avrai salva la vita". Il drago mi aveva parlato e, cosa ancora più incredibile, aveva percepito i miei pensieri. Allora io, utilizzando tutto il coraggio che avevo replicai "Drago, se la morte non è il mio destino dimmi, allora, perché sono qui incatenato". Il drago si acquattò e portando la sua enorme testa all'altezza del mio corpo disse: "Sei curioso e sfrontato, proprio come tutti gli altri della tua razza. Ma ora taci elfo ed imparerai da un mortale qualcosa di importantissimo". Proprio allora, infatti, si udì un tonfo e quando il drago si spostò, riuscii ad intravedere Thorendill, ferito gravemente che brandiva la sua ascia. Il suo volto era stremato ed il suo fisico terribilmente straziato da ferite. "Infine giungesti nella mia tana..." disse il drago e continuò "Bene, coraggioso Thorendill, sei pronto per la fine?". L'uomo attingendo alle ultime forze che gli rimanevano disse: "Non qui il mio destino verrà a concludersi Darigaaz. Io sono l'eletto ed avrò ciò che mi spetta" disse indicando l'armatura. Il drago emise un suono strano simile ad una risata, ma molto più cupo e triste. "Credi davvero di essere l'eletto? Credi davvero di meritarti l'Armatura del Signore dei Draghi?" disse l'enorme bestia. E Thorendill "Io non lo credo, io lo so per certo...". La sicurezza sul volto di Thorendill ora era palese ed anch'io iniziai a riacquistare speranza. "Bene dimostramelo allora" disse il drago spiegando le ali e preparandosi al combattimento. Il duello iniziò e nemmeno le parole di un abile bardo elfo potranno mai descrivere cosa io vidi in quegli istanti. Il rumore dello scontro riecheggiò all'interno dell'intera montagna e tanto potenti furono i colpi dei due che nemmeno la roccia che li circondava potè sopportarli. Con una potente artigliata il drago fece cadere a terra Thorendill e istantaneamente lo schiacciò con tutto il suo peso. Purtroppo la morte incombeva per l'uomo. Prima di sferrare il colpo mortale il drago, avvicinando al viso di Thorendill la sua enorme testa, disse: "Perché sei venuto qui? Sapevi che sarebbe finita così, figlio mio". Quando udii quelle parole il mio sangue raggelò. Thorendill era figlio del grande Darigaaz, il più potente ed antico dei draghi. Allora l'uomo, ormai in fin di vita, esclamò: "Non rinuncerò al mio destino padre, nemmeno se ciò comporti la tua o la mia morte". E brandendo la sua ascia colpì il drago alla giugulare causando una ferita mortale. Darigaaz, rantolando, ricadde nuovamente sul corpo del figlio, schiacciandolo col proprio peso. Io assistetti alla scena impotente e fu solo dopo alcuni giorni, quando riuscii a liberarmi, che potetti avvicinarmi ai due. Il drago era completamente riverso sul corpo di Thorendill e mi ci volle un giorno intero di lavoro di spada per aprirmi un varco nelle carni della bestia prima di poter rivedere il corpo di Thorendill. Le ferite lo avevano ucciso, ma il peso del padre lo aveva tenuto in buono stato di conservazione, tanto che il suo corpo non presentava segni di decomposizione. Preso dal panico la prima cosa che mi venne in mente fu di cercare un qualche medicamento nei dintorni, ma dopo una breve ricerca desistetti. A quel punto, persa ogni speranza iniziai a lacrimare sul corpo del mio compagno e la mia mente fu di nuovo colpita dal dolore lancinante che avvertii quando entrammo nelle caverne. Questa volta però non svenni, ma mi accorsi che uno strano bagliore proveniva dall'armatura. Forse mi stava chiamando? Forse ero stato scelto da Thorendill proprio perché sapevo "sentire" l'armatura. Non lo seppi mai. Fatto sta che mi alzai, risalii il cumulo di crani e presi l'armatura. Era incredibilmente leggera e quelle che mi sembravano delle decorazioni variopinte da lontano erano, in realtà, scaglie di drago che ornavano i vari distretti dell'armatura. Decisi di allacciarla al cadavere di Thorendill, o meglio, fui "spinto" a farlo. Quando riuscii a chiudere le sicure della splendida armatura. Un bagliore improvviso riempì la stanza. Rimasi stordito per qualche secondo dall'avvenimento, ma quando aprii gli occhi una splendida scena mi si presentò davanti. Thorendill era in vita, nel pieno delle forze, e guardava suo padre Darigaaz, anche lui nuovamente in vita , che sorrideva di gusto. Il grande drago voltò la testa verso di me la chinò in segno di saluto e scomparve nel nulla. Thorendill invece si avvicinò a me e disse "Ellermir, figlio degli Eldar, ti devo la vita... la mia gratitudine per te sarà eterna". Io non riuscii a parlare fino a quando non rivedemmo l'aria aperta. Solo allora, mentre risalivamo, sui cavalli (incredibilmente intatti e ben nutriti) io dissi: "Non ti devo niente Thorendill, figlio di Darigaaz. Tu sei l'eletto." Un sorriso fu la sua risposta. Cavalcammo velocemente verso la mia cittadella, ma lungo il tragitto incontrammo solo cadaveri e macerie. In cuor mio il dolore iniziava a farsi insopportabile. Giungemmo alla cittadella dopo circa 2 settimane di strada e ai nostri occhi lo spettacolo fu agghiacciante: la cittadella era stata rasa al suolo e numerosi generali sia umani che elfi giacevano appesi a delle croci con le carni evidentemente lacerate da chissà quali tremendi riti e torture. Solo la Quercia Sempiterna ancora si ergeva, con il palazzo del consiglio annidato tra le sue fronde, come ultimo bastione della vita sulla terra. Attorno ad essa sterminati eserciti di mostri obbrobriosi e purulenti cercavano in tutti i modi di intaccarne la possente corteccia. Torreggiava tra di loro l'imponente figura di Farghelot, il dio oscuro, che per l'occasione aveva preso le sembianze di un terribile drago nero a due teste. Thorendill mi disse: "Corri fratello mio, corri alla Quercia e porta speranza a chi ormai sta per perderla". Le sue parole risuonarono nel mio animo come l'eco di un coro angelico. La paura svanì e mi lanciai in sella al mio destriero nella mischia per dirigermi verso l'albero millenario. Thorendill fece lo stesso ma si diresse nel punto del campo dove si ergeva la figura di Farghelot. La mia lama tranciò qualsiasi cosa mi venisse incontro ed il mio cavallo tavolse ogni ostacolo che si frapponeva tra me e la Quercia. Sentivo parte della forza del figlio del drago scorrermi nelle vene e mai come quel giorno mi sentii un guerriero. Arrivai alla base dell'albero e la sua corteccia si aprì velocemente per permettermi di passare e si richiuse alle mie spalle, impedendo a due abomini di fare breccia in essa. Smontai da cavallo e corsi come mai in vita mia verso la terrazza dove prima avevo intravisto i saggi del mio popolo che assistevano alla quasi sicura disfatta da lì. Aprii le porta della sala e continuai a correre verso Achtelion gridando "Thorendill è qui e farà ciò per cui è nato!". I pochi sopravvissuti tra uomini ed elfi presenti mi guardarono increduli, come se avessero visto uno spettro. Indicai la zona del campo in cui l'Oscuro nemico comandava le truppe. Thorendill era lì, a cavallo, splendido a vedersi nell'armatura forgiata dagli dei. Farghelot provò più volte a colpirlo, ma destino volle che quel giorno egli scelse la forma meno appropriata per combattere contro Thorendill: egli ora era il Signore dei Draghi e come tali invulnerabile ai loro attacchi. Farghelot venne sventrato mentre malediceva la sua stoltezza e il suo spirito fuggì per gli spazi atemporali gridando dalla rabbia e dal dolore. Le sue perfide creature si dissolsero come cumuli di sabbia spazzati da un vento boreale. Ce l'avevamo fatta... ce l'aveva fatta. Il mondo fu ricostruito e le genti tornarono ad abitarlo. Io smisi armatura e spada e presi a cantare le gesta di grandi eroi a partire dal più grande di tutti loro: Thorendill il figlio del Drago. Dal giorno della grande battaglia più nulla si seppe del prescelto. Egli sparì portandosi l'armatura con sè. Molti dicono di averlo visto insieme ad una donna, sopravvissuta al massacro, con la quale lasciò questo mondo per andare a vivere con i draghi suoi fratelli. Sta di fatto che io circa vent'anni dopo la fine della Grande Guerra rinvenni un piccolo umano ancora in fasce, che recava su una spalla una voglia a forma di drago con le ali spiegate. Accanto a lui c'era l'armatura di colui che salvò il mondo. Lo allevai come mio figlio e tenni l'armatura nascosta fino alla sua maggiore età (per gli uomini si aggira attorno ai 17 anni), raggiunta la quale gli svelai il suo passato e gli posi due vie da scegliere: sarebbe potuto diventare un onesto lavoratore, ripudiando la vita guerriera o avrebbe potuto indossare l'armatura e combattere come un semi-dio. La sua scelta fu ovvia. E da allora nacque con Kherin Ar-Thorendill la stirpe di colui che solo sconfisse la Grande Nemesi.

Yul Ar-Thorendill discendente del Prescelto.








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