Passeggiando nella cittadina di

Silmaril
I Racconti

Pennas Luharion
La vera storia di Luharion Caranfinn
(Prima parte)

di
Luharion


Erano ormai molti giorni che cavalcavo senza sosta nel deserto di Rûn, diretto verso Est; la stanchezza cominciava ormai a farsi sentire e non sapevo se sarei riuscito a resistere ancora a lungo. Non avevo ricordo del mio primo viaggio in quelle terre e quindi non sapevo cosa mi aspettasse, avevo così deciso di cercare di stare sveglio finché non fossi arrivato a destinazione, ma il torpore prese il sopravvento e mi addormentai... Il destriero che avevo recuperato ad Imladris continuò a correre senza mai fermarsi come se sapesse quanto era importante per me giungere ad Est... Non so quanto dormii, ma appena mi risvegliai ebbi un sussulto; davanti a me, all'orizzonte, riuscivo a vedere i grandi monti orientali... Ero quasi a casa o, almeno, a quella che credevo fosse la mia casa... La vista di quelle montagne (e il periodo di riposo) mi rinvigorirono tanto che incitai il cavallo a correre più svelto... Lui accelerò il passo, ma sentii che era stanco... Purtroppo non era tempo di fermarsi e riposare, non adesso che eravamo così vicini alla meta... Decisi allora di usare le mie arti magiche per rinvigorirlo... Nonostante tutto il cavallo non demorse e mentre il sole stava per tramontare giunsi ai piedi della collina che segnava la fine dei monti e l'unica entrata per la valle... Decisi che per quel giorno era abbastanza; era tempo per il cavallo di riposarsi. Anch'io cercai di dormire, ma la mia eccitazione non mi permise di dormire... Aspettai che la notte passasse e poi mi arrampicai verso la cima del colle. Il vento dell'Est mi passava fra i capelli, mentre dall'orizzonte appariva finalmente il sole. "L'Alba" pensai, e volsi lo sguardo verso la vasta pianura... Una sensazione di sgomento mi pervase. Là, dove un tempo si stagliava imponente Minas Amrûn, ora c'erano solo macerie, macerie di una battaglia di cui solo ora vedevo la fine...

La mia avventura però inizia molto tempo prima. Il mio nome è Luharion, e questa parte della mia storia inizia dal mondo di Silmaril, nelle terre intorno a Midgaard. Giunsi in queste terre fantastiche molti anni fa mentre, vagando per le Terre di Mezzo, incappai in un vortice dimensionale che mi fece fare il grande salto. Avevo cominciato a vagabondare per le terre di Arda molto tempo prima, partendo da Imladris, dove ero rimasto in lunga convalescenza e in piena amnesia a lungo. Nessuno sapeva, o si ricordava, come fossi giunto nella città di Elrond, tanto che pensavano fossi un Elfo della città e questo fu anche quello che mi dissero al risveglio. Restai a Imladris per svariati anni, ma la città era pressoché vuota. Parlavano di una grande battaglia a Sud, ma il fatto che avessero lasciato la città incustodita mi turbava tanto che decisi, all'ombra di tutti, di creare una piccola compagnia che si sarebbe dovuta occupare della sua difesa: i "Ranger di Rivendell". Poi la guerra finì senza che noi ranger fossimo costretti a sfoderare le armi. Caduto quel pericolo la compagnia non aveva più motivo di esistere e in breve tempo venne sciolta. A quel tempo, quando lasciai le dolci mura di Gran Burrone, ero ormai certo di essere un Elfo della città, e continuai a pensarlo fino quel giorno. Era un giorno passato come tanti altri, tra esplorare le varie zone e combattere le creature del male. Ormai sera, stanco, mi diressi verso il Tempio, dove trovai alcuni dei miei amici con cui cominciai ad intrattenermi. Discutevo con Araglar e Ghaldwyr quando, all'improvviso, un malore mi colse... Caddi svenuto e cominciai ad avere convulsioni e a delirare (così almeno mi dissero) tanto che fu chiamato perfino il saggio Krandal per vedere cosa mi succedesse; fortunatamente le sue cure mi riportarono alla realtà, ma non ero più lo stesso: nella mia mente i ricordi cominciavano ad affiorare ed apparivano le prime nitide immagini di Minas Amrûn, della città di Amrûnloth e di mio padre e una grande ferita mi si era aperta sul petto e non accennava a smettere di sanguinare. Ancora una volta Krandal mi fu di grande aiuto curando quell'apertura che sembrò, in un primo momento, chiudersi perfettamente. Sembrava tutto passato ma era solo l'inizio. Stavo discutendo coi presenti sugli strani ricordi che mi erano apparsi, quando la ferità si riaprì, più grande di prima e nuovamente caddi in quello stato comatoso e fu allora che ebbi la visione e giunsi in contatto con mio padre. "Caranfinn - mi disse - finalmente riesco a parlare con te" "Chi sei? - gli chiesi - Cosa mi stai facendo?" Il suo sguardo si fece serio, prese fiato e mi confidò che lui era Re Elviond, re di un regno elfico, un regno che si trovava al di là del deserto, nelle terre dell'alba. Non potevo credere a quel che sentivo e pensavo seriamente che fosse tutto frutto della mia immaginazione, ma il suo tono fermo e la sua abilità retorica mi fecero presto cambiare idea. Raccontò la storia della mia gente, elfi di un'antica stirpe che erano stati scacciati dalla loro comunità in partenza per terre lontane, e di come raggiunsero le terre orientali. Descrisse la costruzione di Minas Amrûn e di come intorno ad essa nacque una stupenda città circondata da bianche mura, e di come era stato creato il loro regno, il suo regno ed ora il mio regno. Elviond esaltò la bellezza delle terre dell'alba, e del nostro regno. Più ascoltavo le sue parole e più ero convinto che fosse tutto vero. Mi narrò quindi di come aveva regnato giustamente e di come Amrûnloth divenne un baluardo per tutti gli elfi. Parlò delle sue grandi battaglie contro gli orchi, i mostri e gli uomini malvagi che infestavano Amrûn e le terre limitrofe. Ed infine mi descrisse la fine di quel regno. "Un giorno - disse - vennero degli ambasciatori dalle Terre Occidentali, raccontandomi che tutti gli Elfi si stavano riunendo per muovere battaglia contro l'ultimo dei servitori del male e che la stessa comunità che un tempo ci aveva scacciato ora veniva a chiedere il nostro aiuto. Non so come vennero a conoscenza del nostro regno, so solo che le loro parole mi convinsero e attraversai il deserto con gran parte del nostro esercito." Continuavo ad ascoltarlo attento e avevo la sensazione che, proseguendo col racconto, i suoi occhi diventassero sempre più lustri, come se stesse per piangere, ma la sua voce mantenne sempre lo stesso tono calmo e sicuro. "Sapevo che molto probabilmente non sarei mai tornato da quel viaggio - e alzò lo sguardo verso di me confermando quello che pensavo - e decisi di lasciare il regno in mano a mio figlio, il mio secondogenito, nonché tu..." Ebbi quasi un sussulto, non potevo credere di essere figlio di un re, erede di un grande reame elfico di cui ignoravo completamente l'esistenza. Ero completamente intontito da quei pensieri ed ero sul punto di tempestare il mio interlocutore con mille domande, ma lui ricominciò a parlare. "Dovevo lasciare il regno a te perché tuo fratello aveva deciso di intraprendere il viaggio al mio fianco. Fu così che il giorno seguente alla dipartita degli ambasciatori tu fosti incoronato re di Amrûn. Una parte dell'esercito rimase nella città, ma la gran parte seguì me e tuo fratello oltre il deserto. Nessuno avrebbe mai più fatto ritorno. - e qui la sua voce perse un po' di quel tono quieto e sicuro - Intanto tu continuavi a governare ignaro di quello che ci stava succedendo, poiché altri problemi infestavano la tua mente; pensieri di guerra. Ti ricordi cosa accadde in quei giorni?" Ora la mia mente sembrava molto più lucida, mi sembrava di ricordare tutto, eppure la nebbia nei miei ricordi non era del tutto sparita. Sapevo che quella era la mia unica possibilità di dissolverla completamente e così scossi la testa, sperando che Elviond potesse descrivermi ciò che realmente successe. Lui mi guardò, poco convinto del mio gesto, ma in ogni modo prese fiato e cominciò a raccontare. "Pochi giorni passarono dalla mia partenza quando ai bianchi cancelli di Amrûnloth si presentò quella ragazza. Era bella, ricordi, di una bellezza quasi mistica, e chiedeva di te... - ed ecco fra i miei ricordi riaffiorare quel volto, un volto che molto tempo prima avevo cercato di dimenticare - Fu accompagnata fin nella stanza del trono, dove tu ed il fedele Issmar eravate chiusi a discutere delle faccende del regno. Una guardia fece capolino nella stanza, ma prima che aprisse bocca un enorme boato devastò gli ampi portoni che la isolavano, scaraventandoli nel mezzo della sala. Lei, con le mani ancora fumanti, si avvicinò a te, ti guardò e ti disse con gli occhi pieni di rabbia di chiamarsi Naanta e di volere portarti alla rovina. E così com'era giunta se ne andò, senza lasciare traccia." Ormai tutti i miei ricordi erano tornati dolorosamente alla luce e penso che anche Elviond se ne accorse tanto che smise di raccontare di quei tristi momenti. "È giunto il momento - mi disse - che ti lasci tornare alla tua realtà." E così dicendo mi ritrovai nel Tempio sudato e circondato da tutti i miei amici che sembravano seriamente turbati. Mi raccontarono che ero stato nuovamente preda di convulsioni e che più di una volta erano stati propensi a pensare che ero ormai spacciato. Mi sentii felice di essere ritornato sano e salvo in quel mondo e di essere circondato da tanti amici che si erano presi cura di me. Mi sedetti tranquillo e decisi di raccontare tutto ai presenti. Quando finì molti erano increduli ed alcuni scettici, ma la mia avventura era solo all'inizio. Fu in quel momento che decisi di partire alla ricerca dei territori di Amrûn.

Poche ore dopo mi ritrovavo sul prato da croquet in compagnia del fido Arial, il mio falco. Quel prato è uno dei luoghi più tranquilli nel circondario di Midgaard e di solito è lì che vado a dormire. Ma quella sera non c'era verso di riuscire a addormentarsi. Nella mia mente continuava ad apparire quel volto, quella ragazza. Ora me la ricordavo come se l'avessi appena vista eppure era passato un tempo immemorabile. Ricordavo ogni suo particolare: i lunghi capelli marroni, i profondi occhi verdi, il suo corpo sinuoso. Quando la vidi per la prima volta ero disteso sul pavimento atteritto dall'impressionante esplosione che aveva causato. Ricordo che mi si avvicinò con passo sicuro e si fermò poco distante da me. Mi sentivo piccolissimo di fronte a lei che mi sovrastava, respirando affannosamente. I lunghi capelli ricadevano sulle spalle e sul petto, i suoi stupendi occhi verdi erano intrisi di odio eppure mantenevano una smisurata dolcezza. Quando la sua rosea e delicata bocca si aprì, la voce musicale mi rapì e in un primo momento neanche mi accorsi che quelle che pronunciava erano parole di ghiaccio che mi colpivano come lame... Non so che strano effetto mi avesse fatto quella ragazza, so solo che da lei non mi sarei mai aspettato parole del genere. Non potevo credere che un essere così bello fosse capace di fare del male, la sola idea mi appariva assurda. Eppure le sue parole erano chiare e intrise d'odio. Dopo che se ne fu andata rimasi sul pavimento ancora alcuni minuti, prima che Issmar mi aiutasse ad alzarmi. Ero completamente stordito. Mi chiese se andava tutto bene, io gli risposi con un cenno del capo, prima di congedarmi. Corsi più in fretta che potei attraverso gli ampi corridoi del palazzo verso Minas Amrûn. Gli arazzi intrisi d'oro e i vari quadri dei miei antenati appesi ai muri mi passavano di fianco velocemente, come il paesaggio al di là delle ampie vetrate. Giunsi alla base della torre, salii a grandi passi gli alti e bianchi scalini e non appena fui in cima guardai verso la via principale e la vidi. Camminava sicura di sé al centro della strada, intanto che la gente si spostava da lei guardandola con occhi increduli o adirati. Lei sembrava non accorgersene minimamente. La seguii con lo sguardo fino ai cancelli orientali, oltre i quali sparì. Non so quale strana forza mi spinse, ma decisi di rincorrerla. Scesi celermente dalla torre e corsi alla sua ricerca. Non appena passai i cancelli e giunsi nella sterminata pianura, mi guardai in giro e la vidi allontanarsi. La raggiunsi in poco tempo. Mi fermai dinnanzi a lei, mi guardò e l'ultima cosa che vidi furono le sue mani circondate da aloni infuocati. Mi risvegliai tre giorni dopo nella mia camera. Grida di guerra arrivavano dall'esterno. Mi buttai giù dal letto, presi la mia spada Rillach, e mi affacciai alla finestra. Quello che vedevo era un incubo. Alle mura di Amrûnloth c'erano così tanti orchi, uomini e creature del male che mai ne vidi e ne vedrò mai; e là, proprio nel centro della mischia, c'era lei, contornata da un'aura infuocata che brandiva un bastone color del sangue. Da quel momento agii istintivamente, come mosso da qualche strana forza, quasi senza accorgermene. Indossai l'armatura, scesi nella Piazza d'Armi dove Issmar e tutti i Cavalieri di Amrûn mi aspettavano. Salii sul mio cavallo, feci pochi passi quindi mi girai, li guardai e gridai: "Per Amrûn! A la Pugna, a la Pugna!" I Cavalieri eccitati e spronati dalle mie parole si misero in sella e spronarono i loro destrieri. Giungemmo dinnanzi ai grandi cancelli orientali. Ordinai di aprirli mentre dall'alto gli arcieri cercavano di impedire ai nemici di avvicinarcisi. Non appena i cancelli furono aperti i corni di Amrûn risuonarono per tutta la città e i Cavalieri fecero impeto sulle prime linee nemiche che caddero inermi, mentre gli arcieri dall'alto delle mura facevano pulizia dei superstiti. Mai i Cavalieri avevano fallito quando erano entrati in campo e così sarebbe stato anche quella volta, se non ci fosse stata lei. Le creature del male cadevano impotenti sotto la nostra potenza e per centinaia di metri i cavalieri corsero incontrastati, ma quando ci avvicinammo a lei accadde l'imprevedibile. Mosse il bastone con veemenza e da esso uscirono ampie e distruttive lingue di fuoco che mieterono molte vittime fra i miei compagni. Non potevo accettare un simile affronto al regno di Amrûn e così girai il mio cavallo, lasciai la lancia e mi gettai su di lei. Ero mosso da fervore, rabbia e odio. Mi buttai su di lei sfoderando Rillach e liberandone la potenza. Il lampo uscì crepitando. Il bastone sanguigno cadde per terra con un rumore sordo. Fu allora che i miei occhi si posarono sulla mano di lei ben stretta al mio braccio. La fissai negli occhi che ora erano diventati di un verde ancora più splendente e meraviglioso. Poi aprì la bocca e quello che ne uscì furono veramente lame ghiacciate che mi colpirono a morte. Di quel che successe dopo mi ricordo poco. Rammento che fui raccolto da cinque cavalieri che mi portarono via da quell'inferno. L'ultima immagine che vidi prima di svenire fu Minas Amrûn all'orizzonte, in fiamme. Quando mi risvegliai mi ritrovai ad Imladris, ignaro di cosa fosse accaduto. Fu lì che la mia avventura nell'Est finì e decisi che da lì sarebbe ripartita.

Tornai alla base della collina e ripresi il mio cavallo; lo sellai e mi preparai all'ultima tappa del viaggio: l'arrivo ad Amrûnloth. Cavalcai intorno alla base del colle finché non mi si aprì davanti la grande pianura. Fermai il mio cavallo un'ultima volta per guardare l'ampia distesa erbosa alla luce dell'alba; poi lo incitai alla corsa e cominciai a prendere velocità puntando sempre le bianche mura della città ormai distrutta. Il vento mi soffiava fra i capelli intanto che grosse lacrime mi scendevano dagli occhi. Lacrime dovute alla velocità, alla gioia di essere finalmente giunto in quei territori e alla tristezza dei ricordi legati a quella pianura.

(continua...)








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