Passeggiando nella cittadina di

Silmaril
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Locanda del Granchio Rosso

I Racconti

E' incredibile come l'ingegno e la freddezza siano due qualità che il più delle volte appartengono alle persone senza scrupoli. Forse è vero che la furbizia è figlia del Signore della Male?
Se avete dei dubbi, provate un po' ad ascoltare cosa ho da raccontarvi...


Avevo solo 19 anni ed il mio unico scopo nella vita era trovare validi avversari con cui confrontarmi. Girovagavo senza meta per le terre di Silmaril, riportando su pergamena le mappe dei luoghi che visitavo nel mio cammino. Decisi così di esplorare una terra a me sconosciuta situata sotto le mura della città di Midgaard. Una grande folla era accalcata all'ingresso di quel lugubre luogo e da lontano notai un guerriero la cui fama era giunta anche alle mie orecchie, si diceva fosse uno dei più valorosi e forti combattenti di tutta Silmaril.
Mi trovavo al cospetto del grande Barone Sukumvit.
Noncurante della sua presenza, mi diressi verso l'entrata di quel temibile luogo. Egli mi fermò prima che entrassi: "Dove andate messere?" mi disse, io strafottente come mio solito, indicai la strada sotto le mura dicendo: "A uccidere chiunque mi si pari davanti", mi guardò con aria superiore e scoppiò in una sonora risata che coinvolse tutta la folla di pecore che lo attorniavano. "Tornate da dove siete venuto se vi è cara la pelle, questo non è un posto per novellini come voi", rise di nuovo guardando i miseri stracci che avevo indosso e la mia piccola spada, la folla rise con lui... il mio volto diventò rosso di rabbia ed imbarazzo, ero furente come mai lo ero stato, ma non potevo confrontarmi con lui, era troppo forte per me, e per chiunque conoscessi... ma il mio cuore di combattente gridava vendetta. Mi allontanai di gran carriera mentre li sentivo ancora ridere di me. Colmo di rancore mi promisi che me l'avrebbe pagata... o si che l'avrebbe pagata. Per 20 lunghi anni studiai un piano per vendicarmi di quell'affronto.
Andai a Midgaard diretto al C'era una volta, mi serviva una mano. Il piano era perfetto, ma avevo bisogno di un mercenario pazzo ed amante del combattimento come me. Entrai in quella vecchia locanda, ma era semideserta. Il silenzio era interrotto solamente da qualche fragoroso rutto di un ubriacone alla finestra e dal sinistro scricchiolio delle assi della pedana dietro al bancone, sotto il continuo andirivieni del barista intento a cercare un vecchio straccetto. D'un tratto scorsi nell'ultimo tavolo solitario vicino all'uscita una figura a me conosciuta. Non nego che mi si illuminarono gli occhi alla sua vista! Sì, chi se non colui che mi aveva insegnato tante tecniche di combattimento e mi aveva fatto conoscere tanti luoghi... solo lui avrebbe potuto partecipare ad un'impresa tanto rischiosa quanto impossibile: Gelesad, la mano del male...
Solo, in un tavolo con un bel po' di boccali di birra vuoti, meditava su qualcosa. Portai altre due birre e mi sedetti con lui, mi salutò con un gesto veloce ed io non mi persi in convenevoli. "Ho bisogno del tuo aiuto... voglio uccidere il Barone Sukumvit". Rise... anche lui rise di me...
"Skinner solo tu puoi pensare simili sciocchezze, non avremmo neppure il tempo di alzare le nostre spade e saremo già morti", ma man mano che gli spiegai il mio piano i suoi occhi scintillarono di pura malvagità... in fondo era come me, amava combattere, era nato per questo. Scolò la sua birra ed io lo invitai a seguirmi nel luogo che sarebbe stata la tomba del Barone... Lo portai su per le colline nel posto dove avevo deciso di tendere l'imboscata, gli spiegai i dettagli ed i rischi che avrebbe corso. Gelesad iniziò a sogghignare come suo solito, conoscevo quel volto, sapevo prima che aprisse bocca che era pronto per lo scontro, passò un cervo e con rapidità inaudita vibrò un colpo che recise la testa dell'animale... prese quella testa e disse "Porteremo a Midgaard la testa del barone".
Ore 12 del mese del Toro... tutto era pronto...
Gelesad era in posizione... il barone stava poco lontano da me, vantandosi delle sue gesta... lo odiavo. Presi il mio arco incantato e scoccai una freccia verso di lui, una seconda ed una terza. Il suo urlo riecheggiò in tutta Midgaard, non era un urlo di dolore poiché le mie frecce si erano spezzate contro la sua armatura... era un urlo di rabbia. Avanzò verso di me con passo pesante ed io cominciai a correre continuando a scagliare frecce verso di lui. Mi inerpicai sulle colline, attraverso i prati, correvo ma lui era sempre dietro di me, instancabile. Due occhi rossi luccicavano dietro il cespuglio dove sapevo era nascosto il mio fido alleato.
M'inerpicai sulla montagna, poi dentro una grotta... correvo, correvo... non lo nego avevo paura, ma ero felice: finalmente era giunta l'ora della mia vendetta. Mi fermai di botto e chiusi la grata sotto di me. IL barone ci si scagliò contro facendo stridere il metallo. Pensai che il fabbro aveva fatto un ottimo lavoro, le aveva costruite usando il più resistente metallo in circolazione. Sukumvit afferrò le sbarre piegandole con la sua immane forza, ma una freccia gli trafisse la mano. Gelesad non aveva perso tempo: aveva chiuso la grata dalla sua parte ed impugnato il suo arco tempestava il barone di frecce... era in trappola! Non mi feci pregare, levai il telo dalle due casse di frecce che io e Gelesad avevamo portato fin lì e cominciai a scagliare frecce verso l'incredulo e più che mai furente Barone.
Troppo impegnato a deflettere i nostri attacchi ed a curarsi non aveva tempo di scagliarsi contro di noi... molte frecce, forse troppe mancavano il bersaglio, ma altrettante lo ferivano. Scoccammo un'infinità di frecce contro quell'orribile mostro ma lui non sembrava minimamente danneggiato ed anzi ad ogni lancio più inferocito. Quando il sole stava scomparendo dietro le ormai lontane colline alle nostre spalle e le prime ombre della notte oscurarono i verdi prati intorno a noi, lui era ancora in piedi, dritto e fiero sulle sue robuste gambe maledicendoci e ringhiando contro di noi.
Avevo il braccio indolenzito e la scorta di frecce cominciava ad essere esigua, se non fosse stato per il mio compagno mi sarei arreso all'evidenza... era troppo forte per noi, ma egli m'incitava continuando a bersagliare il nemico. Pronunciai arcaiche parole e la mia forza crebbe, così il mio vigore. La notte passò sotto, ora urla furenti, ora grida di dolore mentre io e il mio fido compagno scoccavamo ancora imperterriti frecce cariche di odio. Nel tardo meriggio eravamo ormai esausti, allo stremo, le nostre braccia distrutte ma fiere nel tenere ritto l'arco. Un'altra ora di frecciate e il barone era in ginocchio sanguinante... tutto ciò mi corroborava! La sua armatura era ridotta uno schifo, schivò una mia freccia, ma la seconda andò a segno, il suo bavero andò in pezzi. Mi chinai a raccogliere la freccia che avrei scagliato verso il suo collo ormai indifeso, ma sentii un urlo gorgogliante... Gelesad mi aveva preceduto. Una freccia trapassava il collo del barone da parte a parte... il suo sguardo perso incrociò il mio... cadde... morì. Aprimmo le grate ed entrammo... stanchi ma felici e gonfi d'orgoglio per un impresa in cui nessuno avrebbe scommesso 5 monete.
Svestii il corpo del barone della sua pesantissima armatura e con grande sforzo me lo caricai sulle spalle. Lo portammo a Midgaard. La gente ci guardava incredula, sbigottita, non riuscivano a capacitarsi di come due sprovveduti come noi avessero ucciso quel potente guerriero. Arrivammo alla piazza. Gelesad abbracciandomi urlava "Dove non arriva la forza, arriva l'ingegno! Muhahahahahha". Anche io ghignavo, ero quasi stordito tanta era l'adrenalina che ancora mi scorreva nelle vene. Scagliai il corpo verso un branco di puzzolenti bastardini che in men che non si dica lo divorarono, lasciando solo le ossa di chi aveva osato RIDERE DI ME!

Skinner Boato dell'Uragano








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